lunedì 25 giugno 2018

291. IL MONDO DI MAVI E DEGLI ALTRI


Ho cominciato a scrivere a cinque anni e non ho più smesso. Ho scritto diari segreti, lettere d'amore e liste della spesa, riassunti di testi di studio, bilanci economici e biglietti di auguri, decine di incipit di romanzi, letterine a babbo Natale e Forza Napoli, migliaia di sms e milioni (sì milioni) di whatsapp, nomi cose e città, cruciverba, rebus e sudoku, e quasi trecento post su questo blog. In cinque anni "Il mondo di Mavi" ha ricevuto  più di 67mila visualizzazioni e mi ha fatto guadagnare ben 26 euro e 75 centesimi. Cazzo, un vero affare consentire a Google di inserire pubblicità sul mio blog! 
È stata un'esperienza bellissima che mi ha aiutata a crescere dal punto di vista letterario, ma soprattutto umanamente, mi ha fatto conoscere persone e mondi nuovi e adesso questo nome, nato quasi per caso, mi sta un po' stretto, mi sembra infantile, forse perché mi riporta a rozzi telefilm di matrice sudamericana, ma non credo mi rappresenti più tanto.
Continuerò a tenere in vita questo blog, ma per coloro che non sono miei amici di Facebook, voglio segnalare la mia pagina:

https://www.facebook.com/Condominio-Arenella-Romanzo-a-puntate-185967945448436/

È una nuova avventura che ho intrapreso da poche settimane, un altro sogno da realizzare. Se vi va, aiutatemi a raggiungere questo nuovo traguardo. Grazie.


domenica 3 giugno 2018

290. LA CALATA DEI BARBARI


È domenica, a Napoli in città c'è poca gente, sono quasi tutti al mare, la mattinata è già molto calda. Apro Facebook e noto che oramai si parla tanto di politica, e lo fanno tutti, anche quelli che fino a pochi mesi fa si limitavano a fare selfie o a parlare di calcio in un italiano improbabile, ma non mi dispiace, non sono mai stata snob, sono populista, nell'accezione più democratica del termine. Sono convinta che questo grande caos sia necessario, che sia produttivo e benefico. Siamo in una fase di transizione, con tutti gli sconvolgimenti che portano i mutamenti. Attenzione, non sto dicendo che questo sia il governo del cambiamento, non lo credo. Credo, piuttosto che si stia verificando un cambiamento culturale, un rimescolamento. Sono tutti inesperti, eletti ed elettori, sono tutti alle prime esperienze. Si parla di politica come mai negli ultimi trent'anni. Molto hanno fatto i social che hanno reso le informazioni più fruibili, che hanno semplificato il linguaggio e quindi (purtroppo) anche il pensiero, che hanno portato tutti ad adoperare toni da stadio, perché quando la quantità di partecipanti e di informazioni aumenta, si fa ascoltare solo chi fa la voce grossa, anche se non ha i toni giusti.
Quando anni fa fu inaugurata la metropolitana collinare a Napoli, qui al Vomero, dove vivo, si gridò alla catastrofe. Che orrore! La plebaglia delle periferie si sarebbe mescolata alla borghesia pacata dei quartieri alti, la calata dei barbari. Quanta tristezza, quanto provincialismo, quanta incultura! E di barbari si parla adesso alludendo alla nuova classe governativa. Ecco, anche in questo caso, quanta tristezza! La cultura non è un cumulo di nozioni, di conoscenze, la cultura è la capacità di elaborare tutte le informazioni, di saper trarre da loro insegnamenti e nuove idee. Non bisogna fermarsi mai, non bisogna parlarsi addosso, evitare di confrontarsi con chi ha idee diverse, non bisogna snobbare chi ha un diverso modo di comunicare. La mescolanza fa bene a tutti, mitiga i toni ed i pensieri, il confronto intelligente è solo produttivo.
Ieri sulle bacheche imperversava la foto di un bellissimo e dolcissimo bambino di colore con la bandiera italiana, e spesso la accompagnava un fiume di banalità. Adesso, mi chiedo, che senso ha postare una foto simile e poi chiamare barbari i propri concittadini che hanno idee diverse? 
Apriamo le braccia e la mente.


lunedì 28 maggio 2018

289. NÉ I PIÙ STUPIDI, NÉ I PIÙ IGNORANTI, SEMPLICEMENTE I PIÙ INGENUI.


Dopo la scelta di Mattarella di ieri ero molto triste, demoralizzata, vedevo sfumare un sogno, una speranza.
A febbraio avevo dichiarato pubblicamente il mio voto (278. ECCO PER CHI VOTO), perché sono trasparente e scelgo in base alle mie idee, e soprattutto perché sono convinta che il confronto sia necessario per la crescita, sempre che sia sincero e rispettoso. Ho dichiarato che avrei dato il mio voto al Movimento 5 stelle, l'ho fatto senza pregiudizi, senza timori.
Subito dopo le elezioni, quindi, sono stata tacciata di ignoranza e stupidità, come prevedibile, e a farlo sono stati soprattutto conoscenti e amici del PD. Purtroppo, l'hanno fatto, e ancora continuano, anche persone a me care. Adesso dico, è possibile odiare o disprezzare una persona semplicemente  per le proprie scelte politiche? Non mi piace Salvini, ma provo a capire le motivazioni di chi l'ha votato, non credo assolutamente che siano tutti ottusi ed incolti, non lo credo assolutamente, così come non credo che quelli che votano PD siano tutti imbroglioni o creduloni. Le persone hanno un vissuto che incide in ogni scelta, anche politica. Fidarsi di qualcuno, non significa essere stupidi, credere in un progetto non vuol dire ignorare le possibili conseguenze negative, ma sperare in un cambiamento positivo, essere propositivi. Altro che stupidi ed ignoranti, sognatori ed idealisti, ecco cosa siamo noi che da ieri sera ci sentiamo tristi e sconfitti. Nessuna rabbia, nessun rancore, ma tanta, infinita tristezza. Sulla scelta di Mattarella riporto un parere autorevole.

Su Il Manifesto di domenica 27 maggio u.s., il professor Massimo Villone scrive:

"Il governo giallo-verde e la legislatura sono a rischio. Il conflitto tra la maggioranza e il Presidente della Repubblica ha raggiunto livelli critici. La pietra dello scandalo – si fa per dire – è Savona. Un curriculum stellare, una lunga storia nelle istituzioni, e tuttavia una opposizione dura da parte del Quirinale.
Sulla scelta dei ministri, abbiamo precedenti nel senso che il Colle si è opposto a qualche nome. Ma sono essenziali le motivazioni. Pare che Mattarella sia preoccupato in rapporto all’Europa e al quadro delle alleanze.

Con tutto il rispetto, è bene essere chiari: sbarrare la porta di Palazzo Chigi a Savona sarebbe un errore.
Anzitutto, a cosa deve guardare prioritariamente il Capo dello Stato? Il riferimento, prima della composizione, è il programma di governo, E da questo punto di vista il documento giallo-verde non chiede più l’uscita dall’euro, dalla Nato, o altro che molti potrebbero considerare frutto di perniciose fantasie. Si mostra tranquillizzante, a meno che non si voglia imputare ai presentatori di mentire consapevolmente. Non è appropriato per il capo dello Stato pretendere di più.
Ad ogni buon conto, trattati e convenzioni internazionali non sono le tavole di Mosè. Possono essere messi in discussione, rinegoziati, riscritti, denunciati unilateralmente. In particolare, sull’Europa da anni i governi italiani di ogni colore chiedono un deciso cambio di rotta, senza ottenerlo. Questo potenziale governo nel suo programma non chiede, in fondo, nulla di più.
Ancora, sul singolo ministro i precedenti migliori e più condivisibili di diniego sono sui candidati di cui si potesse mettere in discussione la capacità di ricoprire la carica con “disciplina e onore”, come la Costituzione richiede. Di sicuro, non si mostra appropriato un diniego non per le qualità della persona, ma per opinioni espresse in un passato più o meno recente. In specie, se il programma di governo non giustifica timori, ne possono mai venire per l’esercizio della libertà di pensiero del ministro in pectore? Si pensa forse che voglia, una volta a Palazzo Chigi, mettersi contro l’indirizzo di governo e perseguirne uno proprio? Una prospettiva del tutto astratta. Ma laddove poi accadesse, quel ministro potrebbe essere ben costretto alle dimissioni o al limite cacciato con una sfiducia individuale, come accadde con Mancuso al tempo del governo Dini.


Il diniego di Mattarella su Savona sembra allora doversi leggere nel senso di voler evitare persino il rischio che la scelta di un ministro orienti l’azione di governo, a prescindere dal programma, in un senso non voluto. Una correzione anticipata per evitare in futuro sbandate presuntivamente pericolose nell’indirizzo politico. Alla fine, la sovrapposizione di un indirizzo proprio a quello di governo, cosa in principio preclusa al capo dello Stato. Che può certamente esprimersi sull’indirizzo politico se lo ritiene nell’interesse del paese, ma come moral suasion e non nell’esercizio di poteri formali che incidono sull’esistenza dell’esecutivo, sul rapporto col parlamento, o sull’azione di governo. Al limite, potrebbe forse spingersi oltre per manifeste incostituzionalità nel programma. Nella specie, non è così. Ma anche in tale ipotesi probabilmente il rimedio sarebbe uno scioglimento delle camere, e non una riscrittura per mano presidenziale.

La fragilità sul piano costituzionale si traduce in errore politico, e rischi per l’istituzione presidenza. Che potrebbe domani essere attaccata per aver difeso poteri forti e padroni occulti del paese che nel proprio interesse ci impediscono di decidere il nostro destino. E per aver moltiplicato, drammatizzando invece di rassicurare, le tensioni sullo spread e i mercati. Si vuole che Savona sia la nostra linea del Piave? Un pericolo da evitare.

Considero il governo giallo-verde da combattere politicamente perché, come ho già detto e scritto, in larga misura di destra. Spero che ci sia, o nasca, una sinistra in grado di farlo. Ma come costituzionalista difendo il diritto della maggioranza espressa dagli italiani nel voto di entrare con i propri ministri e il proprio indirizzo politico a Palazzo Chigi. Non spetta al presidente Mattarella impedire che ciò accada. Dovrà essere il popolo sovrano, quando lo riterrà, a metterli alla porta."

Ecco, non lo dico io. Lo scrive un costituzionalista tutt'altro che grillino o leghista.

Stamattina, frugando nella mia borsa, alla ricerca di una penna, ho ritrovato un accessorio di una Barbie di mia figlia ed ho sorriso. Ed ho capito, sono stata un'ingenua. Si insinua il dubbio che Salvini abbia volutamente imposto Savona auspicando nell'epilogo a cui abbiamo assistito, poi altri mille sospetti. Insomma, sono ripiombata nella tristezza.

Non aggiungo altro, se non che mi è passata la voglia di votare. Libertà è partecipazione, ed io oggi non mi sento più libera, non posso più partecipare. 



venerdì 11 maggio 2018

288. DEDICATO A LOREDANA BERTÉ


Sullo schermo c'è un video che mi ipnotizza: Loredana Bertè in pose improbabili in mezzo a giovani, che ho appreso da poco chiamarsi Boomdabash, mentre intonano un reggae tendente al pop "Non ti dico no". Siamo in una sala d'attesa di un centro estetico e le altre donne ridacchiano, dicono che la Berté è ridicola, che la sua presenza stona, che non la si può guardare, sono impietose, e a me fanno più pena loro. La Berté, invece, la guardo con tenerezza e quasi vorrei proteggerla da quegli sguardi, anzi ci provo, e di colpo interrompo il coro di giudici formatisi  presso la scuola di Maria De Filippi, e sorridendo gielo dico: <<A me la Berté piace! È un'artista dotata di una forte personalità, caratteristica sempre meno diffusa>>.
Qualcuna abbozza un sorriso annuendo, altre fanno finta di niente.
Poi torno a sfogliare la mia rivista e penso a quanto sia beffarda la vita. Ripenso a Mimì, al rapporto viscerale e mai sereno tra due sorelle nate a tre anni di distanza, nello stesso giorno dello stesso mese. La violenza di un padre troppo autoritario nei confronti della moglie e delle figlie, che ha segnato inevitabilmente il loro rapporto con il sesso opposto. L'amore per Ivano Fossati, l'isolamento forzato per le maldicenze su Mia, la sua fragilità ed il tragico epilogo il 12 maggio del 1995.
Anche se le sorelle non hanno mai accettato l'ipotesi del suicidio, sembra quasi che il mondo dello spettacolo si senta inesorabilmente colpevole e tenti di espiare il suo peccato supportando Loredana. Sì, è questo che penso guardandola: Loredana è solo uno strumento per ottenere il perdono di Mia. Per questo ti guardo con tenerezza, per il tuo ruolo inconsapevole di redentrice, perché meritavi altro.

"...
A chi ha cercato la maniera
e non l'ha trovata mai,
alla faccia che ho stasera,
dedicato a chi ha paura e a chi sta nei guai,
dedicato ai cattivi,
che poi così cattivi non sono mai.
..."

Ecco Loredana, queste donne sedute qui accanto a me, che ti deridono e vorrebbero compatirti, non sono cattive,  forse ignorano chi sei, non hanno avuto modo di godere della tua bellezza e della tua splendida voce, e una  manicure o un massaggio non darà loro un briciolo del tuo fascino.  


martedì 8 maggio 2018

287. SESSANTACINQUEMILA VOLTE INSIEME

Sono giorni che penso a cosa scrivere per celebrare i primi cinque anni del mio blog, e ci penso anche adesso, seduta sul mio scomodo divano di pelle, mentre fingo di guardare la tivvù, ed ogni tanto rivolgo uno sguardo complice alla mia piccola libreria, quasi come a chiederle un supporto amichevole. È una libreria atipica la mia, giovane e caotica, non contiene che una piccola parte dei libri che ho letto, ma cresce velocemente per tutti i libri che vorrei leggere. Ho lasciato romanzetti americani, testi universitari e qualche classico del Novecento nella casa natale, best seller e pochi saggi nella casa del mio ex marito, ed ho portato qui, nella casa in cui vivo adesso, poche decine di libri che ho amato. Ho sempre creduto che la mia libreria avrebbe dovuto contenere solo ciò che conoscevo bene, invece, mi trovo ad osservare corpi estranei che, prima di giungere a me, hanno respirato in altre mani, riposato su altri letti, assorbito lacrime e risate di altre facce. Sono i libri usati che acquistiamo il mio compagno ed io girando per mercatini, reliquie di segreti ed altri suoni, che ingialliscono e riscaldano la mia casa. Spesso immagino gli occhi e le labbra che quei libri hanno avvolto e protetto, i nasi che hanno sfiorato, e mi sembra di percepire aspettative e delusioni di lettori sognanti, la loro voglia di capire e fuggire e la funzione consolatoria delle parole. E chissà se sono riuscita anche io a far sentire meno solo qualcuno, mi piace pensare che sia stato così, che ogni tanto un lettore curioso, facendo una capatina in questo zibaldone dei miei pensieri, si sia sentito rassicurato.
E il fatto che questo blog sia stato visitato circa sessantacinquemila volte, lo rende un po' come la mia piccola libreria: una compagnia vivace e scombinata, che parla di tutto e porta dentro un po' di me e trattiene anche qualcosa di voi ogni volta che venite a leggere. Provate a prendere un post a caso, immaginate cosa me l'ha ispirato, e quali pensieri ha suscitato in quelli che l'hanno letto prima di voi, fatelo, ci si sente meno soli, come quando si ha tra le mani un libro. Ed anche se non ha profumi questa mia libreria, non ha la consistenza della carta, anche se sa di mani poggiate su una tastiera, ed ha la rigidità della custodia del cellulare, arriva ad ognuno di voi con la fragilità e la tenacia delle onde che attraversano l'etere, e fragile e tenace sono io.


lunedì 30 aprile 2018

286. DOVE NON ARRIVO IO

Se c’è un atteggiamento che non è mai facile, non è mai scontato anche per una comunità cristiana, è proprio quello di sapersi amare, di volersi bene sull’esempio del Signore e con la sua grazia. A volte i contrasti, l’orgoglio, le invidie, le divisioni lasciano il segno anche sul volto bello della Chiesa. Una comunità di cristiani dovrebbe vivere nella carità di Cristo, e invece è proprio lì che il maligno “ci mette lo zampino” e noi a volte ci lasciamo ingannare. E chi ne fa le spese sono le persone spiritualmente più deboli. Quante di loro - e voi ne conoscete alcune -, quante di loro si sono allontanate perché non si sono sentite accolte, non si sono sentite capite, non si sono sentite amate. Quante persone si sono allontanate, per esempio da qualche parrocchia o comunità per l’ambiente di chiacchiericcio, di gelosie, di invidie che hanno trovato lì. Anche per un cristiano saper amare non è mai un dato acquisito una volta per tutte; ogni giorno si deve ricominciare, ci si deve esercitare perché il nostro amore verso i fratelli e le sorelle che incontriamo diventi maturo e purificato da quei limiti o peccati che lo rendono parziale, egoistico, sterile e infedele. Ogni giorno si deve imparare l’arte di amare. Sentite questo: ogni giorno si deve imparare l’arte di amare, ogni giorno si deve seguire con pazienza la scuola di Cristo, ogni giorno si deve perdonare e guardare Gesù, e questo, con l’aiuto di questo ”Avvocato”, di questo Consolatore che Gesù ci ha inviato che è lo Spirito Santo.
(Papa Francesco – Regina Coeli – 21 maggio 2017)


Ieri mattina sono entrata nella chiesa vicino casa, non c’era ancora messa, c’erano soltanto due anziane donne sedute distanti l’una dall'altra. C’era una luce bellissima, donata un po’ da un modesto sole mattutino ed un po’ dai tanto sprezzati neon. Ho preso il foglietto della messa, sapendo che non avrei partecipato alla sua celebrazione, e mi sono soffermata sulle parole di papa Francesco: sapersi amare. Ho sempre creduto in Dio, ma sono sempre stata critica nei confronti della Chiesa e non vado quasi mai a messa. Eppure, quando entro in una chiesa mi sento bene. E mi viene naturale pregare. Invoco Dio ogni volta che mi sento inadeguata, ogni volta che credo di non avere gli strumenti necessari per affrontare un dolore. Sono una combattente, non lascio correre, non resto inerte di fronte ad un comportamento che giudico offensivo per me o per altri, no, proprio non riesco a tacere, ma sono sempre stata convinta che vince chi porge l'altra guancia. "Ogni giorno si deve imparare l'arte di amare", dice Francesco, perché le invidie, le gelosie ostacolano questo apprendimento. Ecco per me cosa è Dio, è la forza di accogliere gli altri sempre, quando ci sorridono e quando ci urlano contro, che poi spesso è un altro modo di amare. Dio è amore.

Dio è nella generosità, nell'altruismo, nel rispetto, nella comprensione, nell'accettazione degli eventi, anche i più tragici. Nel riuscire a restare se stessi, a non farsi contagiare dalla rabbia, dalla miseria umana. E questa forza, il coraggio di chi riesce ad amare, nonostante tutto, questa accoglienza è così disarmante!

Non avrei mai pensato di scrivere un post di questa natura, ma è successo, forse perché con gli anni si maturano tante consapevolezze, si ridimensionano tanti miti, si realizza che alla fine vince chi perde.






martedì 24 aprile 2018

285. COM'È DIFFICILE DIRE ADDIO


Eccoli, li vedi all'improvviso per la strada, mentre guidi, mentre cammini, e ti fermi ad osservarli, come se potessi sentire le loro urla soffocate: sono i contenitori destinati a raccogliere gli indumenti usati, da donare a chi ha bisogno di coprirsi. Sono bocche di metallo grigio che vomitano ostentazione, traboccano di inutilità. Dentro è un crogiuolo colorato di panni e borse e scarpe dismesse, che prolifera ad ogni cambio di stagione.  Un ingozzamento forzato che asseconda la smania di pulire e riordinare armadi e vite, la voglia di cambiare, il desiderio di nuovo. C'è anche l'orgoglio di madre gratificata dalla crescita dei suoi bambini, c'è il bisogno di sentirsi utili, di poter fare del bene regalando ad altri qualcosa di personale.
Hanno una funzione assolutrice queste bocche, travestono di altruismo la vanità: si svuotano armadi per far posto ad altri oggetti, ma in fondo si fa anche del bene.
Chissà perché in questi contenitori ci finiscono anche magliette bucate, scarpe con la suola spaccata e borse della spesa usa e getta, credo che non sia per disprezzo della povertà, piuttosto ho la percezione che dalle cose ci si distacchi sempre con molta difficoltà. Quella camicetta bianca acquistata per andare al colloquio di lavoro dove hai incontrato il tuo compagno, quella cintura che ti ha regalato una cara amica, e quel maglione di un verde inimitabile, che ogni volta che lo indossi tutti a farti i complimenti. E quel vestito blu acquistato per la seduta di laurea, quanti ricordi! E cosa importa se la camicetta non si chiude più ed è piegata nel cassetto da sei anni? Che conta se il maglione verde ha un buco sul gomito ed ogni bolta che lo indossi fingi di non saperlo? Il vestito blu ha una linea un po' superata, ma magari torna di moda! L'mportante è che stiano là, a portata di vista, che siano sempre con noi, le nostre cose, che almeno quando ci sentiamo soli ci tengono compagnia, come delle fotografie, dei profumi del passato. Ma arriva il momento in cui bisogna separarsi da questi nostri complici e, come a volte avviene per le persone, aspettiamo che siano loro a lasciarci, a chiederci l'ultimo saluto, ai nostri indumenti l'onere della scelta, quindi.
E quando hanno scelto e la separazione è necessaria, preferiamo affidarli ad altri piuttosto che buttarli. Del resto, è la nostra roba.



martedì 10 aprile 2018

284. MI AMI DAVVERO?

<<Daniele, ma tu mi ami?>>
<<Sì, certo che ti amo Sara.>>
<<Credi davvero che io sia speciale?>>
<<Sì, lo credo. Sono convinto che tu sia perfetta per me, che nessuna possa starci meglio addosso a me.>>
<<Non dirmi che questa bocca, queste mani, non abbiano mai sfiorato labbra e carni eccitanti, che tu non sia stato bene anche con altre.>>
Daniele si fermò a guardarla in silenzio e poi aggiunse a voce bassa:
<<Sara, ho amato altre donne, ho desiderato altri odori, respirato altre guance, atteso altri passi, ed ho gioito assieme alle loro mani, tra le loro gambe.>>
Sara lo ascoltava paziente, temendo che prima o poi sarebbero arrivate parole spiacevoli.
<<Ho amato e sono stato riamato, ho tradito e sono stato tradito, ho lasciato che il rumore sordo della gelosia mi spegnesse gli occhi, mi vibrasse tra i denti e attraversasse  poi tutto il corpo fino ad esplodere dai miei piedi lanciati contro una porta.>>
<<OK, OK, ho capito, non aggiungere altro.>>
Disse Sara con quel po’ di voce che la gola stretta lasciava uscire.
<<Ho capito, sei stanco di vibrare, vuoi una compagna che si prenda cura di te, che sia sorridente, accomodante, una che ti ascolti, senza chiedere troppo. Basta vibrazioni, vero Daniele?>>
<<Sara!>>
<<Del resto cosa si può pretendere ad una certa età, vero, ci vuole la calma piatta, la serenità.>>
<<Sara!>>
<<OK Daniele, va bene, ascolto, dimmi. Tanto va bene così, faccio la dama di compagnia, hai già dato tutto l’amore e la passione ad altre, non ne hai più, tutto è già stato detto e fatto. Hai ragione tu. E certo, che pretendo io? No ma prego, parla, dimmi, vuoi che ti massaggi i piedi mentre mi racconti i tuoi amori passati, i tormenti ingoiati, la bellezza delle vibrazioni, no dimmi, vai avanti.>>
<<Sara, smettila. Stai un po’ zitta. Ho amato, sì ho amato, ma non così.>>
<<Ovvio, adesso è un sentimento di tenerezza.>>
<<Stai zitta e amami, amami come solo tu sai, come nessuna ha fatto mai. Amami e scava, vai a fondo esplora questo corpo e questa vita, scava, non fermarti, e prenditi ciò che nessuna ha avuto mai e che ho tenuto in serbo per te. Scava Sara, scava. Non fermarti dove altre si sono fermate, vai oltre. Tu che puoi, tu che mi assomigli e puoi avere di me la parte più pura, non fermarti.>>

<<Sì Daniele, procedo, mi vengo a prendere quel che hai protetto fino ad ora, mi rifugio in te e ci resto per sempre. Perché un privilegio lo abbia anche io: arrivare con te al gran finale.

(Liberamente tratto dai miei appunti per opere incompiute)


domenica 8 aprile 2018

283. BUONA DOMENICA

Questa mattina mi sono svegliata e prima di accendere la radio, come accade appena riesco ad aprire gli occhi, con quella flemma che solo nel week end mi concedo, ho esitato per qualche secondo, ed ho pensato che oggi potesse essere il giorno buono per fare un giochino infantile che ogni tanto amo fare. Il gioco consiste nel farsi guidare dalla prima canzone che si ascolta e di capire quale messaggio si celi dietro  quel caso fortuito. Insomma, io ho acceso la radio ed ho subito perso il sorriso: Chimbalaiê, e no! Già è domenica, il giorno più uterino della settimana, ci si mette pure la canzone, e no! Shimbalaiê, quando vejo o sol beijando o mar ... Secondo voi perché ci si augura buona domenica? Mica perché c'è da festeggiare? È una sorta di in bocca al lupo prima di un'impresa, un augurio di buona fortuna, un'amichevole pacca sulla spalla, una parola di solidarietà. Insomma, Qualcuno  il settimo giorno si riposò, ma noi avremmo un po' meno diritto a quel riposo, in 5/6 giorni abbiamo fatto manco la milionesima parte del suo lavoro. Vabbè, meriti a parte, lo sappiamo tutti che un giorno intero  di riposo per noi è troppo e facciamo di tutto per punirci. Gite fuori porta nel traffico, perché siamo tutti uguali e tutti troppo intelligenti per scegliere una partenza sbagliata; visite a musei tra vociare di neofiti e bambini poco interessati; grandi abbuffate antistress e proastenia pomeridiana; giochi con i figli esigenti e severi; chi se lo può permettere, va al cinema, o allo stadio e gli altri si riuniscono su Facebook. Shimbalaiê, quando vejo o sol beijando o mar ... E se provassimo a stare fermi? No, non conviene, la verità è che vogliamo inconsciamente farci piacere la routine, la quotidiana banalità delle nostre vite, alla fine della giornata vogliamo poter dire: ma quanto è faticosa sta domenica, voglio tornare a lavoro! La domenica l'hanno inventata i datori di lavoro, non ho dubbi.
Buona domenica, eh!


martedì 20 marzo 2018

282. CIAO AMORE CIAO

Oggi Luigi Tenco avrebbe compiuto 80 anni, se in un freddo gennaio del 1967 non si fosse tolto la vita, a Sanremo, nel corso di un festival troppo nazional popolare per lui. 

« Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt'altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda Io tu e le rose in finale e ad una commissione che seleziona La rivoluzione. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi. »

Questo ciò che avrebbe scritto prima di premere il grilletto.

Mi verrebbe da scrivere: caro Luigi, ne è valsa la pena? Sapessi quanto ti saresti divertito negli anni successivi con i fiumi di parole dei Jalisse, con il grugare di Povia intento ad emulare i piccioni sui cornicioni, con la folta chioma di Scanu che ha sparso lamenti e capelli in tutti i luoghi e in tutti i laghi.
Io tu e le rose aveva versi come:
io, tu e le rose,
io, tu e l'amore;
anche se cadesse il mondo
quello stesso giorno noi
saremo là

E vabbè, effettivamente, non avevi tutti i torti, ma dopo 50 anni, sentire:

Non mi avete fatto niente
Non mi avete tolto niente
Questa è la mia vita che va avanti
Oltre tutto, oltre la gente ...

Pensi che ne sia valsa la pena, davvero? Vorresti ancora bene al pubblico italiano che premia Meta e Moro?
No, così, giusto per dire. 
L'italiano è felice con un bicchiere di vino ed un panino, ma quale esistenzialismo francese volevi esprimere? Ma per cortesia Luigi.

Quando da ragazzina ascoltavo le tue canzoni, mi intristivo, avvertivo tutto il disagio del giovane uomo, il tuo male di vivere che un po' mi infastidiva, un po' mi affascinava.
Poi, mi soffermavo sui testi scettica.

Mi sono innamorato di te
Perché
Non avevo niente da fare
Il giorno
Volevo qualcuno da incontrare
La notte
Volevo qualcosa da sognare

Mi sono innamorato di te
Perché
Non potevo più stare solo
Il giorno
Volevo parlare dei miei sogni
La notte
Parlare d'amore
...

Non capivo, mi sembrava voler ridurre l'amore ad una compagnia necessaria, ad una banale esigenza di condividere emozioni, sogni. Poi ...
...
Ed ora
Che avrei mille cose da fare
Io sento i miei sogni svanire
Ma non so più pensare
A nient'altro che a te
...

Ah ecco, adesso sì.
Un amore che sconvolge ogni programma e impegno, cancella tutto, ogni desiderio diventa desiderio dell'altro. 
Forse è questa la tua poesia.

La più bella, però, quella che mi piaceva riascoltare più volte era Vedrai vedrai:
...
Preferirei sapere che piangi
Che mi rimproveri di averti delusa
E non vederti sempre così dolce
Accettare da me tutto quello che viene
Mi fa disperare il pensiero di te
E di me che non so darti di più
...

L'amore che non rimprovera, che comprende. L'amore che non pretende.
L'amore che si basta, e che fa male per quanto è puro. Versi struggenti.

Caro Luigi, in Forse un giorno ti sposerò cantavi grato:
...
quante scene del passato questa auto ha calpestato
quanti piccoli rimorsi quanti amori persi dietro me 
quante volte emozionato son rimasto senza fiato
quante volte ho deluso quante volte qui sul muso
per una volta la vita amore mi ha regalato di più
...

Più tardi qualcuno intonava;
Ti sposerò perché sei di compagnia, tanto è vero che il mio cane ti ha già preso in simpatia.
...

E non era uno spot della Lega a difesa del cane.

Inutile aggiungere altro, credo che queste poche righe siano sufficienti, per farti capire quanto ancora avresti potuto sorprenderti su questa terra.
E poi, delusioni professionali, e scandali di scommesse sul festival a parte, a te quello che ti ha rovinato realmente è il cognome di tua madre, comprendo che non sia facile essere figlio di Zoccola.

- Perché scrivi solo cose tristi? - Ti chiesero - Rispondesti: - Perché quando sono felice esco. 

Chissà, magari adesso sei felice.




mercoledì 14 marzo 2018

281. C'E' CHI PUÒ E CHI NON PUÒ, TU NON PUÒ


Il mio post più letto è il n. 177. "DOTTOR CERÈ, DOTTOR DE CHE?", che ha ottenuto più di ottomila visualizzazioni. 
Un post sui profeti dei nostri anni: i motivatori.
Ieri mi è tornato in mente, leggendo un post su Facebook in cui Andrea (il mio compagno) ipotizzava la realizzazione di un'antologia di storie di persone che "non ce l'hanno fatta", in contrapposizione al proliferare di libri sui successi inaspettati. Insomma, basta parlare di "sfide", cominciamo a raccontare di "sfighe".
Facciamolo analizzando il percorso che abbiamo fatto per trasformarci da umili e dignitosi spettatori a pessimi attori; partendo dai danni provocati dalla psicologia spicciola, "amati e fanculo tutti quelli che non ti amano", arrivando al narcisismo dei giorni nostri, tra selfie, dictat e sentenze proclamati dalle pagine dei social, passando per le lezioni dei motivatori.
Cosa abbiamo combinato? Come ci siamo ridotti? Ma davvero siamo tutti sfigati o forse ci meritiamo quello che abbiamo? Davvero dobbiamo dimostrare di essere persone di successo? E soprattutto, chi e cosa determinano e misurano il successo?
Carica carica carica, alza alza alza, sono urla da dj anni 90, andavano bene nelle discoteche in cui ballavamo e ci sballavamo, per poche ore a settimana, mica per la vita? Il mondo non è una grande discoteca ed il motivatore non può mixare i nostri pensieri. No.
Ho deciso, voglio parlare, che in discoteca non si sente niente. Voglio ascoltare senza stordirmi, non voglio urlare o sorridere per farmi notare, voglio tenere un po' la bocca chiusa e non mostrare i denti. Voglio scaricarmi, voglio il demotivatore. Uno che abbia il coraggio di dire: lascia perdere, non è cosa per te, sei nato spettatore, non puoi salire sul palco.
Uno che ti guarda e se sorridi ti dice: ma che cazzo c'hai da ridere? Ma pensa a lavorare, a contare i soldi che hai guadagnato e a fare la vacanza nel villaggio di merda ad agosto.
Il bravo demotivatore eviterebbe delusioni, direbbe che è inutile pensare di poter dire e fare tutto, c'è chi può e chi non può, perché non è vero che bisogna provarci sempre e comunque, perché meglio non aver mai creduto di avercela fatta piuttosto che aver toccato il cielo ed essere ripiombati giù. 
Il bravo demotivatore spiegherebbe che è inutile agitarsi, nella vita conta solo la fortuna, non l'impegno, non la tenacia, non la passione. E poi, alla fine del suo corso, ci farebbe guardare Bellissima di Luchino Visconti. 
Il demotivatore è un esaltatore di personalità, è come le botte dei genitori  (in certi casi necessarie), solo dopo un corso con un bravo demotivatore si può essere liberi di piangere, ridere, di scegliere di provare, o restare fermi.
Che poi in discoteca il tipo fermo ha sempre acchiappato più di tutti.


martedì 27 febbraio 2018

280. ELOGIO DEL CARREFOUR

In un grande magazzino una volta al mese
spingere un carrello pieno sotto braccio a te
e parlar di surgelati rincarati
far la coda mentre sento che ti appoggi a me
...

Lucio Battisti ci ha ambientato una delle sue canzoni più note, in un supermercato. E, se fosse stato ancora in vita, oltre a scambiarsi effusioni amorose avrebbe anche concepito un figlio, e magari la sua compagna ci avrebbe anche partorito, ma questo è un altro post, anzi, un altro spot.

In certi supermercati io ci starei per ore, a guardare, valutare, confrontare, scoprire, ad inebriarmi, a godere. 
Entro nel magico locale generalmente stanca al rientro da lavoro, con l'intenzione di acquistare lo stretto necessario: il latte per il giorno dopo, un po' di pane ed un secondo per la cena. Compro giusto qualcosa in più per golosità, una Cola zero, o una tavoletta di cioccolato, e alla cassa recupero con tempismo dalla borsa il sacchetto a quadretti rosso e bianco di provenienza svedese, fiera di contribuire in tal modo alla lotta contro il consumismo e l'inquinamento.
Questo accade dal lunedì al venerdì, perché nel fine settimana vivo la sindrome dell'impiegato e vado a briglia sciolta. 
Il sabato, ma soprattutto la domenica - non me ne vogliano quelli contrari all'apertura dei supermercati nei festivi (vedi post 228 del 19 settembre 2017) - il Carrefour diventa un vero e proprio luogo di culto.
Entro con l'euforia di una bambina che va al suo parco giochi preferito, sicura che le sue aspettative non saranno disattese. Mi muovo con cautela già dai primi banchi delle verdure e della frutta, e per non deludere l'addetto al reparto mi mostro interessata a tutto e so che, contro ogni principio biologico, cederò alle clementine più arancioni e lucide, alle mele più sexy che rievocano vecchi gruppi da college americani in perfetto stile Grease. Comprerò finocchi dietetici, perché 'nu poc e diet ce vo', e banane con il bollino blu. Qualche verdura in foglia, solo se pronta per essere buttata in pentola, e tutto ciò che l'industria ha prodotto per aiutarmi ad essere madre lavoratrice. Ai banchi della carne acquisto hamburger per cene veloci, cotolette già impanate e salsicce che non richiedono grandi attenzioni nella cottura. Per il pollo ho il gruppo di acquisto con le colleghe ad Arcofelice. Poi, vado in stand-by: mi incanto per almeno 10 minuti davanti all'espositore delle spezie e puntualmente compro l'ennesima bottiglietta con la noce moscata, il pepe della nuova nuance di moda, la curcuma, il sale dell'Himalaya e la tigre della Malaysia. Una volta fatta scorta di souvenir, mi dirigo al reparto dei detersivi prediligendo quelli in offerta, che devono superare in ogni caso la prova del buon gusto, ovvero risultare profumati al punto giusto, non esageratamente da farmi sembrare una donna di facili costumi, e neanche una da quelli difficilissimi (da lavare).
Insomma, acquisto qualcosa in ogni reparto, passeggio gioiosa tra mille colori e profumi e una volta alla cassa, sono costretta ad acquistare un'altra borsa brandizzata, per la modica cifra di 2 euro e 99 centesimi che concorra ad arricchire la collezione, perché il consueto sacchetto è rimasto nella borsa che uso per andare a lavorare, e quelli grandi destinati a contenere le spese del week end sono tutti piegati nel cassetto della cucina a mettere a dura prova la funzionalità del binario.
Alla fine, esco sempre felice.
Vi ricordate quando simpaticamente, qualche anno fa, fu consigliato agli anziani di combattere l'afa andando a visitare supermercati? Ecco, oggi quegli stessi luoghi hanno accolto tante persone infreddolite, e quotidianamente assolvono ad una funzione sociale risultando uno dei pochi luoghi in cui non si sta quasi al cellulare. Insomma, vado pazza per il Carrefour, eppure volevo cambiare il mondo.  

 https://youtu.be/Rc-5lMlOUJY





lunedì 19 febbraio 2018

278. ECCO PER CHI VOTO



Allora, tra due settimane sapremo chi ha vinto le elezioni, tra sgomenti, delusioni, preoccupazioni, nuovi servili adulatori, vincitori gaudenti e sconfitti deliranti, assisteremo ad una nuova investitura.

Se la giocano Berlusconi e Di Maio, inutile girarci attorno.




Un vecchio ed un ragazzo. Due bersagli dello snobismo intellettuale. Pare che molti intellettuali disillusi, forse spaventati dal "rischio pentastellato", preferiscano optare per una scelta trasversale, non rischiano di sbagliare, appoggiano Emma Bonino e non si espongono realmente. Continuano con supponenza ad utilizzare il termine populismo con esclusiva accezione negativa, senza rispetto per i milioni di italiani che credono nel Movimento.




Incredibile, vero? Più li si deride, più li si giudica male, più vincono. C'è gente che ancora ride per le gaffe di Berlusconi, da Romolo e Remolo alle battute su Obama, sulla Merkel (avendo dimenticato la depenalizzazione del falso in bilancio), così come c'è chi si sconvolge per le "imprecisioni geografiche" di Di Maio nella collocazione del dittatore Pinochet, chi lo prende in giro perché non usa il congiuntivo, e magari lo fa scrivendo: se avrebbe studiato, lo votavo. Insomma, sembra che conti più la forma che la sostanza. Anche se sbagliare su Pinochet è difficile, sarebbe bastato già leggere Isabelle Allende, ma oramai, il buon Luigi avrà già studiato tutta la storia cilena.




Sono molto attenta all'uso della consecutio temporum e mi dà fastidio la superficialità con cui si scrive e si parla oggi. Mettere al posto giusto accenti ed apostrofi è oramai prerogativa di pochi, come del resto l'uso del congiuntivo e di alcune proposizioni. La gran parte dei politici non supererebbe un esame di grammatica italiana e, ahimè, neanche di storia. È triste, ma bisogna prenderne atto.


Di Maio però è bravo, è un portatore sano di strafalcioni: sbaglia, si corregge, si informa, impara dai suoi errori e sta mostrando grandi capacità politiche. Ero molto scettica nei suoi confronti, per età ed inesperienza, ero diffidente, anche appoggiando da sempre il Movimento, lo ammetto, ma adesso mi rendo conto che merita più fiducia.


Ho letto il programma dei 5 stelle e mi sono rimasti impressi alcuni passi. Si parla di economia circolare in contrapposizione al modello lineare considerando che il benessere dei cittadini non sia direttamente proporzionale alla crescita economica.


Si mira a favorire la partecipazione pubblica in comparti ritenuti primari e strategici per il benessere della collettività.


Il PDF sull'ambiente è di 180 pagine, non l'ho letto, mi è bastato vedere quanto fosse importante il tema all'interno del programma.


Gli investimenti per la riorganizzazione del personale scolastico, non solo docente, l'attenzione al turismo, gli interventi previsti a salvaguardia del SSN. Insomma, tutto condivisibile, in linea con la mia idea di bene e benessere comune. C'è ancora un aspetto che voglio illustrare, sono stata sempre garantista, ma da qualche anno, lo sconfortante scenario politico, arrogante ed inconcludente, la rabbia accumulata per i soprusi subiti direttamente e quelli ai quali ho assistito, hanno risvegliato il mio lato giustizialista. Oggi, però, posso dire di aver compreso meglio alcune dinamiche, di essere maturata ed essere tornata garantista, e sono sicura che anche il Movimento subirà analogo processo.


Per il resto, non parlo dell'inutile polemica sui rimborsi dei rappresentanti grillini, davvero inesistente. È come andare a sindacare sulla qualità dell'igiene di una casa pulita ignorando di vivere in un letamaio. Credo nel Movimento. Sentirò un dolore allo stomaco per ogni congiuntivo sbagliato, mi arrabbierò per una proposta di legge troppo utopistica, ma non resterò ferma a guardare.


C'è una cosa che hanno più di tutti i cinquestelle, che fa la differenza, ed è l'autocritica, la capacità di migliorare dai propri errori, di fare di un'esperienza negativa un'opportunità, di guardare al futuro con ottimismo e tanto impegno. Sono stanca dell'arroganza dei vecchi marpioni. Voterò il movimento di tutti. Voterò 5 stelle.





mercoledì 14 febbraio 2018

277. LA MORE NON ESISTE, È SGRAMMATICATO

L'amore è l'unica cosa che ti riempie la vita, ma pure le patatine fritte non scherzano.
Trovare l'amore è meraviglioso, quasi quanto trovare ancora un po' di nutella nel barattolo vuoto.
E poi impari a dire ti amo perché è più facile che dire: non ho capito un cazzo di quello che hai detto e forse manco me ne importa, perché alla fine quando sto con te all'Ikea mi sembra che il mercato sia un grande salone da ballo e tu il mio unico cavaliere, la mia sedia, il mio tavolino, la mia inutile spazzola per abiti a cui si attacca tutto fuorché i peli dalle giacche. Ti amo perché vaffanculo proprio quando ne ho bisogno io del bagno ne hai bisogno anche tu, e allora condividiamo tutto, anche il momento in cui si fa la cacca. Ti amo perché non mi interessa uno che mi dica quanto sono brava a cucinare, ma uno che mi dia i suoi sapori, che prepari per me. Ti amo perché è più facile che dirti: ma quanti cazzi di cuori ti scambi su Facebook? E che è, una comune virtuale? E poi toglimi quel like che proprio non lo voglio se manco l'hai sentita la canzone che ho postato.
Ti amo perché per farci un bagno all'alba d'estate, abbiamo sofferto il freddo siderale, e ci siamo guardati insultandoci in silenzio per quell'idea.
Ti amo perché hai raccolto il mio vomito in ospedale e più lo facevi, più mi veniva da vomitare, e più ti amavo.
E mi dici ti amo solo perché non riuscirai mai a dirmi: vuoi quei kiwi?


lunedì 12 febbraio 2018

276. MIO FRATELLO CHE GUARDI IL MARE E PURE #SANREMO2018


Alla fine, questo festival di Sanremo 2018 passerà alla storia per un monologo sui migranti: Favino che recita Koltès e commuove. Il testo in realtà affronta la condizione dell'emarginato in senso lato, ma l'accento vagamente magrebino con cui Favino lo interpreta lascia intendere la volontà di utilizzarlo per fini specifici. Ad emozionarsi sono anche quelli che dicono no allo ius soli, che vogliono aiutarli a casa loro, perché qui nessuno vuole ammazzare gli immigrati, sparare a vista, oddio, proprio nessuno no. La questione non è la capacità di commuoversi, che a farlo sono bravi tutti, il pericolo è che resti una commozione fine a se stessa, e sicuramente nel caso di Favino sarà così. Del resto è stato un festival all'insegna della moderazione, del vorrei ma non posso, ma lo faccio lo stesso ...

I vincitori sono stati Ermal Meta e Fabrizio Moro con la canzone «Non mi avete fatto niente», e appunto dico, se non vi abbiamo fatto niente, perché ci dovete propinare 'sta canzone fastidiosamente pretenziosa? Tenetevela per voi, una serata tra amici, un karaoke, che so una festa per bambini. Non era la traccia giusta per voi questa sull'attualità, il tema non raggiunge la sufficienza.

Al secondo posto Lo Stato Sociale con Una Vita in vacanza, mi sono piaciuti, l'ho detto da subito che sarebbero arrivati secondi, perché era chiaro che gli italiani nel periodo preelettorale  avrebbero premiato "l'impegno sociale", seppure scarso, di Metamoro. La band bolognese però ci sa fare, a tratti ricorda un po' Rino Gaetano, e dà la giusta leggerezza al festival, superando ampiamente la sufficienza. 

Terza Annalisa con Il mondo prima di te. Bella voce, ma la canzone è semplicemente inutile. Appena sotto la sufficienza.

Al quarto posto Ron con Almeno pensami, ma anche no. Almeno da morto lascialo un po' stare Lucio, e jamm. Qua non è che tutti gli appunti lasciati da Dalla debbano essere pubblicati, altrimenti il prossimo anno ci ritroviamo una canzoncina con un testo tipo: latte, pane, vino, banane... dal titolo "Cose da comprare". Comunque, solo per rispetto a Lucio, più che sufficiente. 

Al quinto posto Ornella Vanoni con Bungaro e Pacifico, Bisogna imparare ad amarsi, ma anche a lasciarsi, Bungaro da solo sarebbe stato meglio. 
Supera la sufficienza. 

Sesto Max Gazzè con La leggenda di Cristalda e Pizzomunno, un bel testo dove le sirene non ci fanno una bella figura, ma di sicuro avrebbero cantato meglio di Max. Sufficiente.

Settimo Luca Barbarossa con la canzone in romanesco Passame er sale, ecco, magari pure il vino e ci facciamo una bella chiacchierata, che è meglio, va. La sufficienza non la raggiunge, mi dispiace.

Ottavo posto per Diodato e Roy Paci , Adesso. Questa sì, forse la più bella del festival. Supera anche il 7.

Il resto è di scarso rilievo, ma per dovere di cronaca, li elenco.

Nono posto The Kolors, decimo Giovanni Caccamo, undicesimo Le Vibrazioni, dodicesimi Enzo Avitabile e Peppe Servillo, tredicesimo Renzo Rubino, quattordicesima Noemi, quindicesimo Red Canzian, sedicesimi i Decibel, diciassettesima Nina Zilli, diciottesimi Roby Facchinetti e Riccardo Fogli, diciannovesimo Mario Biondi.
All’ultima posizione in classifica, Elio e Le Storie Tese.
Arrivedorci al prossimo Sanremo.


mercoledì 7 febbraio 2018

275. #SANREMO2018


Classifica di Sanremo dopo la prima serata.
Annalisa – “Il mondo prima di te”
Lo Stato Sociale – “Una vita in vacanza”
Max Gazzé – “La leggenda di Cristalda e Pizzomunno”
Ermal Meta e Fabrizio Moro – “Non mi avete fatto niente”
Nina Zilli – “Senza appartenere”
Noemi – “Non smettere mai di cercarmi”
Ron – “Almeno pensami”
Luca Barbarossa – “Passami er sale”
Elio e le Storie Tese – “Arrivedorci”
Giovanni Caccamo – “Eterno”
Mario Biondi – “Rivederti”
The Kolors – “Frida”
Ornella Vanoni con Bungaro e Pacifico – “Imparare ad amarsi”
Red Canzian – “Ognuno ha il suo racconto”
Decibel – “Lettera al Duca”
Diodato e Roy Paci – “Adesso”
Enzo Avitabile e Beppe Servillo – “Il coraggio di ogni giorno”
Roby Facchinetti e Riccardo Fogli – “Il segreto del tempo”
Le Vibrazioni – “Così sbagliato”
Renzo Rubino – “Custodire”

Un festival canuto, non solo per il presentatore, ma anche per i partecipanti in gara e soprattutto per la vincitrice assoluta, l'atletica signora di ottantatre anni che si è esibita con Lo Stato Sociale. 
Il palco di Sanremo intimidisce, ma Baglioni più che impacciato sembra assente, una specie di Ken con troppo botulino, annullato da una Barbie Hunziker fin troppo spigliata e padrona della scena, bella e sicura. Favino nelle vesti di un improbabile Big Jim, fa la sua parte e mostra doti canore inaspettate, vincendo finalmente sull'eterno rivale del mondo Mattel.
Ma plastica a parte, la serata di ieri è stata risollevata da uno sfrontato Fiorello, che risveglia il pubblico assopito cantando e ironizzando sull'attività sessuale di Baglioni potenziale compagno di avventura in un ipotetico "puttantour" sanremese.
Ah! C'erano pure le canzoni, già, Sanremo è il festival della canzone italiana, che annoia tanto da premiare chi si esibisce per primo come Annalisa, bella e brava, ma con una canzone inutile, uguale a mille altre.
Lo Stato Sociale, i probabili vincitori del festival, lanciano brevi messaggi di scarso rilievo sociale, ma a misura di social, su di una base musicale piacevole e non banale e a momenti lanciano anche una vecchietta dal palco.
Max Gazzè recita un testo da favola, accattivante, ma su di una base poco orecchiabile e con troppe Z che mettono a rischio la funzionalità del microfono.
Ermal Meta e Fabrizio Moro sono di una banalità raccapricciante, fanno quasi tenerezza, pure all'ISIS.
Nina Zilli non l'ho ascoltata.
Noemi è bella ed ha una voce suggestiva, ma trova sempre autori di merda.
Ron canta un bel testo, a tratti poetico, ma se Dalla non l'aveva pubblicata, un motivo ci doveva pur essere. 
Luca Barbarossa con la solita ballata nostalgica, sembra omaggiare Lando Fiorini per la recente scomparsa.
Elio e le Storie Tese li amo, non giudico, non sarei obiettiva.
Giovanni Caccamo inascoltabile.
Mario Biondi è bravo, ma non si impegna.
The Kolors sono carini, bravini, per ragazzini.
Ornella Vanoni con Bungaro e Pacifico grande classe, da parte di tutti.
Red Canzian basta!
Decibel non mi è chiaro se omaggiano il duca, il duce o Battiato?
Diodato e Roy Paci ero già nella fase rem.
Enzo Avitabile e Beppe Servillo apprezzo sulla fiducia.
Roby Facchinetti e Riccardo Fogli dovrebbero scoprire la comodità delle panchine del parco.
Le Vibrazioni non vibrano.
Renzo Rubino avrei voluto ascoltarlo, e dalla posizione che occupa in classifica (ultimo) credo che abbia portato una bella canzone.
Dal divano di casa mia è tutto... per ora.



domenica 28 gennaio 2018

274. IL VEGETALE BIO


Ho visto il film di Rovazzi e ve ne voglio parlare. Non è che adesso mi sono messa a fare la critica cinematografica, ogni tanto riporto qui le mie valutazioni su di un film che ho visto, perché mi piace raccontarvi un po' della mia vita, ma la megalomania da blogger arriva a ben altro, e in un mondo pieno di opinionisti senza opinioni, io mi ci butto e ci sguazzo. Così ieri pomeriggio ho accompagnato mia figlia di dieci anni a vedere il film IL VEGETALE, già sapendo che avrei trovato lo spunto per un post.
Fabio Rovazzi mi è simpatico, non è mai volgare e non è arrogante, ha lanciato tormentoni come ANDIAMO A COMANDARE e MI FAI VOLARE di una stupidità commovente. Sì, essere stupidi tra tanti intelligentoni che professano un fantomatico impegno sociale, dal quale nessuno trae beneficio, è un atto di coraggio.
Ha più personalità un Rovazzi stupido e banale che un qualsiasi altro cantante rap che crede di mostrare il proprio valore inserendo quattro parolacce nelle sue canzoni. Il film di Rovazzi non delude: è la sagra della banalità. Ho visto quello che mi aspettavo. Un film politicamente corretto, gradevole, una riflessione scontata sulla condizione di molti giovani italiani, sulle mille incertezze lavorative, sentimentali, sulle difficoltà di integrazione e sulla retorica del lieto fine: si viene sempre ripagati. Ecco, anche io ci credo, tutto torna, magari non nel giro di un anno, nel tempo di un film, ma si ottiene sempre ciò che si vuole, se lo si vuole fortemente. E non importa se per comunicare con i bambini, con gli adolescenti, si appare banali e forse anche stupidi, anzi forse un po' di sana stupidità è necessaria, che qua son pure troppi a sentirsi intelligenti. Non sono impietosa come lo sono stata con i The Jakal perché da loro mi aspetto molto di più, ed in effetti nel loro film c'erano più spunti ironici e sagaci, ma non sono emersi a sufficienza. Insomma, quello di Rovazzi è un film già visto, alla Checco Zalone (del resto il regista è lo stesso), alla Siani, buoni sentimenti, lieto fine, qualche risata (molte meno rispetto a Zalone) e tanta banalità. Tutti film che ovviamente ho visto da madre, e vi consiglio di portarci i vostri bambini perché, come mi suggeriva un uomo molto intelligente che frequento, forse è il giusto passaggio dal cartone della Disney al film più serio e sincero. Passare dal caffè zuccherato a quello amaro è ardua impresa, magari nella fase del cambiamento un po' di dolcificante ci sta bene.


domenica 7 gennaio 2018

273. NAPOLI VELATA E L'ATTESA INCANTATA


Stamattina mi sono svegliata con i tamburi, letteralmente. Il silenzio della domenica mattina è stato bruscamente interrotto dalla banda della Madonna dell'Arco! Napoli è anche questo. Ho pensato che nel film di Ozpetek che ho visto ieri sera al cinema, ci sarebbe stato bene anche questo odioso frastuono. O forse no, sarebbe stato troppo. Sì, troppo, perché nella Napoli velata di suoni ce ne sono tanti, forti, contrastanti, di musiche e di voci appassionate, di batterie invadenti e corpi ansimanti. Ma ciò che urla di più nel film è la fotografia, carica di un misticismo assordante. È la celebrazione di una città che fa sempre parlare di sé, ricca di simboli, tradizioni e misteri, piena di vita, ma anche di morte. La rappresentazione del suo lato oscuro, un po' grottesca, fa storcere il naso ad una certa borghesia locale che di partenopeo non ha quasi niente. Così, immagini forti e suggestive, ed un cast di rilievo, distolgono da una sceneggiatura debole e prevedibile. Sembrerebbe quasi che la trama sia funzionale alla fotografia. 
Insomma, dove c'è una primadonna, il resto conta poco o niente, e Napoli, ancora una volta non delude, e fa discutere di sé. 
A me il film è piaciuto, è un bello spot sulla città più ricca di contraddizioni e di eccessi, su di una Napoli che offre sempre mille spunti per far parlare di sé, che urla, si apre, si mostra a tutti, ma riesce sempre a mantenere un certo lato oscuro, misterioso. Chi nasce in questa città impara a convivere con la sua magia, chi la viene a visitare la guarda e aspetta di capire, aspetta che svanisca l'incantesimo. .. perché come ho sentito oggi nelle strade dei quartieri spagnoli: l'attesa non stut a candela. 
E allora, lasciamolo questo velo, che Napoli non sia mai banale e continui ad amare tutti i suoi figli, quelli che ci sono nati e non la conoscono e quelli che vi sono arrivati e aspettano che cada il velo.