Qualcuno potrebbe rispondere che di mali in questo secolo ce ne sono tanti, altri potrebbero essere incuriositi dalla mia opinione, ma la maggior parte penserà, o meglio, non penserà, ed eviterà di leggere il post. Ecco, questo è il male del secolo: la superficialità. Si è superficiali nel dispensare giudizi sulle persone, senza pensare alle conseguenze che questo tipo di comportamento può generare: dire male di una persona, solo per aver avuto una percezione, che potrebbe essere sbagliata, insinua il dubbio negli altri che, ignorando i fatti, resteranno con una riserva mentale dalla quale difficilmente si libereranno, e a quella persona oggetto di critiche assoceranno sempre un'idea di fastidio e di disprezzo. Si è superficiali nell'uso indiscriminato dell'espressione "ti voglio bene", ignorando che volere il bene di una persona significa agire nel suo interesse, anche senza dirlo, ma evitando di entrare in competizione, di sottrarle le attenzioni di cui ha bisogno, di usarla per raggiungere i propri scopi. Si è superficiali nel lavoro: la mancanza di professionalità danneggia chi usufruisce del cattivo servizio, ma soprattutto i colleghi che devono rimediare agli errori ed alle inadempienze degli altri. Si è superficiali nel parlare, perché forse lo si fa troppo, con troppe persone e non si dà il giusto peso alle parole. Si è superficiali nello scrivere, e lasciatemelo dire, da questo tipo di superficialità si può capire molto delle persone. Sono una grande osservatrice, è noto, osservo la natura, i suoi colori, la sue forme e tutto ciò che quotidianamente trasforma queste immagini in un inconsapevole scenario. Osservo la recita di ciascun attore, il modo di interpretare, i volti, le espressioni del corpo e cerco di capire alcune correlazioni. A volte assisto ad eventi apparentemente inspiegabili, ma finisco per credere che nulla sia casuale. Nell'era del virtuale, dove l'apparire ha assunto sempre maggiore importanza, si può camuffare un corpo brutto, un volto inespressivo, si può falsare un'immagine, ma non si può bleffare sulla forma delle parole. Avevo solo otto anni quando la mia maestra, in terza elementare, mi costrinse a riempire cinque paginette con la parola "fa", perché avevo commesso l'errore di scriverla con l'accento. Lo so, se andiamo a leggere qualche post su FB, altro che cinque paginette, è un errore così frequente che non basterebbero quaderni interi. Qualche mese fa, una mia cara, stimatissima amica, aveva cominciato a disquisire sulla sua bacheca di FB sugli errori di grammatica italiana più diffusi in rete, ma dopo i primi tre post, deve aver perso parecchi "amici" ed ha dovuto smettere. Capisco che mettere la "k" al posto di "ch" risulta figo, ma al posto della "c", è inguardabile, oltre che inutile (alcun risparmio di tempo e di spazio). Per non parlare dell'accento, anziché l'apostrofo, utilizzato su po' e su di' (per indicare l'elisione di poco e di dici). Accenti ed apostrofi sul web sono inflazionatissimi, d'accordo che non si pagano, ma perché continuare a scrivere "un'amico" se un resta un articolo tutto d'un pezzo, e non deve e non può essere troncato? Inoltre, un'amica è un'amica e potrebbe non esserlo più se continui a dirle che è "un amica". Lo so che questo più che mai è un post impopolare, ma credetemi, è quello che ci vuole: un po' di impopolarità. Non si può e non si deve piacere a tutti! Si fa a gara a scrivere ed a dire quello che tutti vorrebbero leggere o sentire, a ricevere l'approvazione della maggioranza, ad apparire molto amati, come se questo fosse sufficiente per essere accreditati tra i "giusti". Basterebbe invece rileggersi un po' la storia per scoprire che spesso i riconoscimenti arrivano molto, troppo tardi, e il consenso della maggioranza, la popolarità, non è sempre sinonimo di legittimità. Insomma, cantava De Gregori, la storia dà torto e dà ragione, e non "da'" attenuanti. E poi, "perchè e finchè" se sei meridionale, come attenuante non ha neanche la pronuncia. E se ad un appuntamento dici: <Avevo un pensiero per te, ma l'ho rimasto a casa, te lo do la prossima volta>, sappi che non ci sarà una prossima volta. Sono convinta che se cominciassimo ad essere meno superficiali dalle scuole, non consentendo ad una maestra di poter dire "lo scatolo", non promuovendo un bambino che in quinta elementare scrive "vado ha casa"; se iniziassimo ad essere più attenti a cosa e soprattutto a "come" lo si scrive, potremmo vivere meglio, potremmo anche giustificare chi ignora il congiuntivo evitando di scrivere "sappiate ke il congiuntivo non é una malattia degli okki", ma capire che le regole esistono e vanno rispettate, a partire dalle piccole azioni quotidiane. Deve esistere un limite entro il quale poter esprimere la propria libertà, è necessario rispettare tutti e non giudicare gli altri prima di aver giudicato se stessi. Che senso ha bacchettare chi usa il verbo "fare" ed il sostantivo "cosa" come jolly, se poi si scrive che l'autore non è colto perché è la "IVa" volta che utilizza la parola cosa. Insomma, sbagliare si può, ma perseverare è italiano.