mercoledì 22 febbraio 2023

IO LAVORO E PENSO A TE

Salire le scale del San Paolo nel maggio del 1987, farsi spazio in quel corpo caldo e azzurro, quell’unico corpo composto da tanti pezzi, tutti diversi, fu come salire sul palco di un cinema e passare attraverso la tela, entrare in un film. Avevo sedici anni e quel film avevo cominciato a sognarlo da poco, ma quella scenografia accoglieva mille altri riscatti.


Lo sapeva mio padre che, per scaramanzia,  aveva sempre mantenuto un atteggiamento controllato e quel 10 maggio stappò sul balcone la bottiglia di spumante, che teneva conservata per l’occasione; lo sapeva mia madre, che rimase dietro il vetro a piangere.

Il mare non bagna Napoli, ma le luci del Maradona la illuminano tutta: da Fuorigrotta a Scampia, dai vicoli del centro storico alle strade ampie di Mergellina, dalla Sanità a Posillipo, dalla collina del Vomero alla pianura laboriosa di San Giovanni a Teduccio, dove, dal 2017, domina il più grande murale al mondo dedicato a Diego Armando Maradona, realizzato da Jorit.

Non fu un caso che la vittoria del primo scudetto divenne matematica a Napoli, al termine della partita con la Fiorentina, e soprattutto non fu un caso che fosse il giorno della festa della mamma, perché noi lì, su quegli spalti, eravamo tutti fratelli, che avevamo difeso con orgoglio, e ancora continuiamo a farlo, la nostra genitrice.

L’undici maggio del 1987, fuori allo stadio, sulle auto, sui balconi napoletani c’era un’unica scritta: IO LAVORO E PENSO A TE, per provare a spiegare ancora una volta questo senso di appartenenza, questo amore che ci fa riconoscere e ci rende grati, ma anche per sottolineare la dignità di un popolo che resta fiero e attivo, che va avanti, nonostante tutto.

Anche oggi io lavoro e penso a te, aspettando un'altra festa della mamma.



domenica 12 febbraio 2023

LA MIA VITTORIA A SANREMO 2023

 -Allora, Mariavittoria, il festival ti sta piacendo?

È la prima domanda che mi rivolge il mio parrucchiere, appena mi siedo nel suo negozio, sabato mattina. Lo sa che seguo Sanremo, ne parliamo ogni anno e gli piace stuzzicarmi.
-Bravo, eh, Amadeus?
-Amadeus è un Pippo Baudo, meno colto e severo, e soprattutto fuori tempo. Quello che fa è tutto vecchio.
-Beh, effettivamente. E Morandi?
-Morandi è un uomo perbene, sa dare un contributo discreto ed elegante, e poi sa ancora cantare. È un sagittario come me, portatore sano di pace.
-Cioè? Cosa vuol dire "portatore sano si pace"?
-Vuol dire che anche quando abbiamo la guerra dentro, proviamo ad apparire sereni, ma a volte è dura.
-E le conduttrici?
-Le conduttrici sono carine, vestono abiti eleganti, anche se a volte non mi piacciono, sorridono e si fanno guardare, come si è sempre fatto a Sanremo. Questa storia dei sermoni, però, ha un po' stancato. Ti devono raccontare la solita storiella dei buoni sentimenti, la condanna del razzismo, dell'omofobia, del sessismo, delle discriminazioni, concetti sacrosanti, per carità, ma lo fanno sempre nel modo sbagliato: discriminando e mentendo. Non si sono accorti che il pubblico è cresciuto.
Le parole banali, in raccontini zeppi di retorica, non servono più, annoiano maledettamente, ma soprattutto non convincono nessuno. Le persone non cambiano idea dopo le lezioncine elargite dal palco dell'Ariston, neanche le ascoltano più. 
-Però, quanto è stata brava la Francini!
-Sì, brava, ma ha commosso solo chi già la pensava come lei.
-Può darsi. Effettivamente non credo che tutti abbiano capito.
Poi sorride Luca, mentre avvolge i miei capelli sulla spazzola, oramai mancano pochi minuti al termine della piega e deve porre la domanda più seria, quella fondamentale.
-E le canzoni?
-Ah, già, le canzoni. Non amo nessuna particolarmente, molte sono orecchiabili e ci soprenderemo a cantarle ovunque e per tanti mesi.
"Supereroi" del Povia 2.0 è carina, ma è capitata nel festival sbagliato, era da Zecchino d'oro.
Coma Cose restano insieme per non dirsi addio, rimedieranno alla crisi di coppia con un matrimonio, poi alla crisi matrimoniale con un figlio, poi forse riusciranno a maledirsi.
L'amore tra le palazzine a fuoco commuove, ma Tananai produce in me effetti molto più devastanti.
"Ma io lavoro per non stare con te"  è la cruda verità presente in tutte le canzoni degli adorabili Colapesce e Dimartino.
Ecco, a me piace solo la verità, quella della spontaneità.
In un festival in cui c'è tutta l'ipocrisia italiana, Gianluca Grignani è il vero eroe.
Canta un testo che è quasi una preghiera per una redenzione, ma non è molto orecchiabile e lui non canta più bene, ma la musica la conosce, lui è rock.
Sanremo lo vincerà Mengoni, bello ed educato, ma per me lo ha vinto Gianluca, l'artefice dell'unico gesto veramente trasgressivo di Sanremo: mostrare la scritta NO WAR sulla sua camicia bianca. La guerra, come lui, come tanti italiani, io non la voglio.
Sai cos'è, Luca, il cattivo gusto estetico, dai vestiti brutti ai tatuaggi infiniti, ai piercing sui volti diventati come puntaspilli, e la confusione sessuale esibita come emancipazione, non sono altro che una perfetta omologazione al pensiero fluido dominante, non c'è trasgressione in questa bruttezza spacciata per libertà. Ciascuno ha il diritto di scegliere di essere come preferisce, proprio perché la bellezza è nella diversità, non nella protesta preconfezionata, non nella volgarità degli eccessi. A me piace la fragilità potente di Grignani, l'autenticità.
-Allora, Mariavittoria, ti è piaciuto?
-"Il bene nel male" c'è in Madame, come nel Festival, come in Italia. Io mi sono goduta delle ore di mammitudine tra le mie figlie, sul divano, come non accadeva da tempo, tra tisane, plaid, risate e qualche scontro sull'idea di libertà, ma sono stata contenta, anche se dentro ho la guerra.
-No, veramente io mi riferivo al mio lavoro, ti piace come stai?
-Sì Luca, mi piace, sono pronta per l'ultima serata del festival, per i commenti con le mie figlie e con gli amici, con chi ho accanto, con alcuni su WhatsApp, con altri su Facebook, con chiunque si voglia divertire.
Questa è l'Italia, non sono solo canzonette.
Ah, dimenticavo, ho vinto il Fantasanremo nel gruppo di famiglia, prima su dieci, duecentesima in quello mondiale, perché in squadra avevo entrambi i vincitori, Mengoni e Grignani, e per altri motivi che ignoro. Insomma, nell'epoca dell'autocelebrazione, posso dire di aver vinto qualcosa anche io.