domenica 31 dicembre 2017

272. AUGURI


Allora, il 2018 sarà un anno qualunque, del resto cosa posso pretendere da un anno pari che non ha neanche le palle di essere bisestile? Considerata la mancanza di personalità dei numeri pari, sempre così accondiscendenti, divisibili, equi e solidali, e tenuto conto che gli anni dispari sono sempre stati forieri di gioie, come quelli in cui sono nate le mie figlie, Woody Allen, mio padre, Italo Calvino, quello del primo scudetto del Napoli, del mio primo contratto di lavoro a tempo indeterminato, quelli in cui sono state incise canzoni del calibro di Stairway to heaven, La costruzione di un amore, La guerra di Piero, non nutro grandi aspettative verso il nuovo anno.
Il 2017 è partito in sordina, dj Fabo è andato a morire fuori dall'Italia, ma poi la legge sul testamento biologico è stata approvata (“Norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari”), la valanga su Rigopiano ed il terremoto di Casamicciola annientano, donne ed uomini muoiono, noncuranti di un insopportabile neologismo che vorrebbe distinguere un omicidio alla pari da quello verso deboli esseri di genere femminile. Paure di un nazismo latente, ius soli e camere sciolte, mentre la scimmia nuda balla, sulle bufale del web. E alla fine, ho smesso di aspettare, ho trovato l'altra metà della mela, l'altra ala per volare.
Che il nuovo anno vi porti ciò che meritate, cari amici del blog, e se vi sembra una minaccia, è perché avete la coda di paglia.

P.S. Comunque, detto tra noi, mi rivolgo a te 2018, stupiscimi, distinguiti dai banalissimi numeri pari, fai qualcosa, dici qualcosa di sinistra ... ma questa è un'altra storia.


sabato 23 dicembre 2017

271. IL MIO NATALE TRASH

Me piace 'o presepe, sì, me piace assai. 
Mi piacciono i pastori di terracotta con i vestiti di stoffa, appoggiati sul paesello di sughero e legno, quelli con la testa incollata alla men peggio, con la punta del dito spezzata, con la cesta di verdure indecifrabili, dai colori improbabili, provenienza di una lontana terra dei fuochi. Immancabili Benino sulle scale, lo zampognaro davanti alla grotta, il pizzaiolo davanti al forno (con la sua arte patrimonio dell'umanità), il ruscelletto ravvivato da un motorino che anno dopo anno stenta a funzionare e fa un rumore tale che le pecorelle disposte accanto nell'atto di abbeverarsi, restano immobili. Sul presepe amo una sola luce, quella della grotta.
Mi piace anche l'albero, e mi piace con tante lucine e tanti addobbi, ma rigorosamente bianchi, rossi e oro, che ogni anno si arricchisce di un nuovo soggetto, un nuovo ricordo. Mi piace l'albero pacchiano, ma con stile. Mi piace la casa invasa dalle candele rosse, la stella di Natale e la porta d'ingresso incorniciata di verde e rosso. 
Mi piace ascoltare So this is Christmas, e commuovermi puntualmente, anche se ad interpretarla è un coro di bambini distratto e stonato, ma "war is over" resta sempre la frase più bella. Mi piace guardare Natale in casa Cupiello, preparare gli antipasti e sapere intonare al momento esatto,  anche girata di spalle al televisore, "tu scendi dalle stelle, Concetta bella, ed io t'aggio purtato questo ombrella". Mi piace perdere ore a fare gli struffoli, con quelle palline che non finiscono mai, per poi ammirarli nel piatto tondo, lucidi di miele, con i corallini di zucchero colorati ed un profumo dolce. Ma confesso di preferire il profumo della pizza di scarole, che pure amo preparare, non solo a Natale. Mi piace il baccalà fritto, l'insalata di rinforzo ed i frusci frusci, frittelle rustiche di tradizione Picone. Mi piace mettere lo smalto rosso, indossare almeno un capo di abbigliamento rosso e scoprire il 23 pomeriggio dopo aver acquistato negli ultimi 20 giorni più di 30 regali, che mancano quelli alle persone più importanti.  Amo il caos della mia famiglia, le arrabbiature da stress e da nostalgia, le risate improvvise di complicità e tutta l'enfasi che caratterizza questi ultimi giorni dell'anno.
Vi auguro un felice Natale, con tutta la banalità ed il trash che rassicurano e ci fanno stare bene, compreso The family man.


venerdì 8 dicembre 2017

270. LEGGERE IN METRO

<<Questa è tua!>>
L’uomo sopra i cinquanta guarda prima la borsa da lavoro che porta nella mano destra, poi solleva il mento verso chi gli sta di fronte e lo guarda, attendendo la sua reazione.
Pochi secondi di silenzio e l’altro, un po’ interdetto gli risponde:  <<Sì, effettivamente è uguale alla mia>>
<<No no, è proprio la tua borsa>>, incalza sorridendo il primo.
<<Ah!>> esclama distrattamente l’altro.
<<Ti spiego come è andata>> Le labbra carnose consentivano a malapena di decifrare le parole, ma messe a corredo di quel viso grosso, sotto un paio di narici larghe, erano perfette calamite per i miei occhi. Mi sembrava che il possessore della borsa incriminata fosse un uomo buono, troppo impacciato, uno di quelli che credono di trovarsi nel corpo sbagliato, nell’età sbagliata. Fisico abbastanza asciutto, ma viso gonfio e mani doppie, da contadino, sembravano racchiudere un animo sensibile, un’ingenuità quasi adolescenziale.
<<Ho trovato questa borsa in ufficio ieri ed ho chiesto ai colleghi presenti nella stanza se fosse di qualcuno di loro, ma nessuno ne ha reclamato la titolarità, ed io, incredulo, ho cominciato a valutarne la capienza e le condizioni estetiche. Poi qualcuno ha aggiunto: “Credo sia di Alfonso, ma te la puoi prendere, l’ha abbandonata qua da mesi.” Ed io ci ho messo dentro le mie carte e me la so portata a casa. Hai capito Alfo’?>>
<<Sì sì, effettivamente l’ho lasciata nell'armadietto mesi fa, t’a puo' piglia', non uso più queste borse, vedi?>> E mentre lo dice, con il mento indica il borsello che porta a tracolla.
Alfonso ha un viso tondo, lineamenti delicati, un ventre prominente, mani non troppo grandi ed effettivamente, a guardarli bene adesso, sembra che la borsa stia meglio nella manona dell’uomo con i labbroni, piuttosto che appesa al braccio di Alfonso.
Alla fine la borsa e la mano si erano ritrovate, erano destinate a stare insieme.
Così, contenta del lieto fine, mi sono soffermata su altre facce, altri corpi, del resto il viaggio in metro sarebbe durato ancora una decina di minuti …
Altra scena, altri personaggi, questa volta una coppia male assortita: lei seduta e pigra, capelli sporchi, scontenta e polemica, lui in piedi di fronte, mani ed unghie pulite, viso dolce e sognatore. Li ho abbondonati subito, mi mettevano tristezza, avrei ascoltato un copione noioso e prevedibile.
Alla fine ha vinto lui, un vecchietto sopra i settanta, giubbino economico e malandato, ma pulito, testa bassa e vergognosa, ha estratto due accendini dalla tasca destra e li ha mostrati alla donna che gli stava accanto, le ha detto: <<Datemi qualcosa a piacere, non posso tornare a casa senza spesa>>. La donna lo ha ignorato e lui si è rimesso in tasca gli accendini, ancora più in soggezione, con grande imbarazzo ha chinato ancora più il capo su se stesso. Ho cominciato a fissare quel volto rugoso e stanco, quel corpo accartocciato dagli anni e dalla vergogna ed ho cominciato a sperare  che mi guardasse, che i suoi occhi incrociassero i miei, che la retta della bocca tornasse ad essere una curva, ed è accaduto. Proprio prima che arrivasse la mia fermata, ha alzato lo sguardo verso di me ed io ho piegato leggermente la testa in segno di approvazione e gli ho detto: <<Me li dia tutti e due>>, abbiamo entrambi allungato il braccio con l’oggetto di scambio, gli ho poggiato le monete nel palmo della mano ed ho portato via gli accendini. Mi ha guardato con gratitudine e commozione. Poi si sono aperte le porte e sono scesa dalla metro, pensando a ciò che avrebbero portato a casa quelle mani.
Le mani, quanto dicono le mani, più di ogni altra parte del corpo, più degli occhi, più della bocca, le mani.

Proprio in questi giorni mia figlia sta leggendo Firmino di Sam Savage, e c’è una parte nel quarto capitolo dove si cita Gall, il medico tedesco che alla fine del ‘700 si appassionò alla fisiognomia, ovvero la disciplina che pretende di dedurre i caratteri psicologici e morali di una persona dal suo spetto fisico e soprattutto dai lineamenti e dalle espressioni del volto.

Che ci sia una forte relazione tra le due sfere è evidente, l'ho sempre creduto, ma non è certo corretto utilizzare una sola chiave di lettura, credere che la relazione sia diretta ed univoca.
Così nei viaggi preferisco leggere i corpi piuttosto che i libri, li trovo più interessanti, più sinceri.

Quindi, non abbiate timore, perché se è vero che il riso abbonda sulla bocca degli stolti, non è che quelli tristi lo siano di meno. La leggerezza, l’ironia, sono proprie delle persone molto intelligenti, imparate a ridere che a piangere so bravi tutti.