Il 17 aprile del 2019 entravo in sala
operatoria con gli occhi annacquati, e più mi dicevano di stare tranquilla, più
mi accarezzavano e mi tenevano la mano, più avvertivo tutta la drammaticità del
momento.
Non
sei un caso unico. Sei una delle tante. È stato tutto già sentito, raccontato,
superato.
Ci
si abitua al dolore, alla malattia e anche all'idea della morte.
È
tutto previsto, tutto spiegato.
Fa
clamore la novità, e tu non sei una novità.
Stai
male e non sei autorizzata a soffrire perché ci sono passate già altre, e molte
sono state più brave di te, sono state guerriere mentre sfidavano un ago con un
sorriso.
Sì,
a qualcuna è andata male. Ma sono casi, ci può stare, è nella statistica.
E
ti chiedi se ti è concesso essere triste, spaventata.
Ti
dicono che non devi preoccuparti, tanto si cura. "Avanti, su, non hai una
malattia originale, devi capire che càpita, che sei una delle tante".
Sono
una delle tante.
"Passerà.
Passa quasi a tutte".
Sono
una delle tante, una delle tante, sì, ma un pezzo di corpo malato è molto più
di una statistica, è il primo colpo da cui non sei riuscita a difenderti, è il
nemico che prende il sopravvento. È vero che ciascuno ha il suo nemico, che
prima o poi diventa visibile a tutti. È vero che non sei la sola, ma vorresti
anche tu il tuo tempo, la comprensione, il rispetto per il tuo dolore.
Ti
dicono "passerà", "tutto si supera", e intanto? Intanto
cosa faccio? Faccio finta di nulla? Guardate che la vita è "intanto",
la dobbiamo vivere tutta.
Non
mi dite "passerà", io non voglio restare in standby, che poi troppo
standby equivale a morire. Io non voglio perdermi niente, neanche il dolore, la
paura, io ci voglio essere, non voglio fermarmi ad aspettare che passi. Da
bambina detestavo il sonno pomeridiano, mi ribellavo, non volevo addormentarmi
durante le ore del giorno, ché tanto ci sarebbe stata la notte intera per
dormire, non potevo perdermi niente, gli altri vivevano e io non volevo
rinunciare neanche a un pezzetto minuscolo di vita, figuriamoci se lo voglio
fare adesso.
No,
non sono una guerriera. Io la guerra non la faccio a nessuno. Proprio non la so
fare, la guerra. Accolgo tutto, anche questo nemico.
Non
sono stata originale. Non interessa a nessuno l'ennesimo triste racconto sulla
sofferenza, sulla paura.
"Non
devi stare male. Devi andare avanti e pensare ad altro".
E
io mi chiedo cosa sia "altro". Forse il lavoro, il pranzo, la casa.
Oppure le emozioni nuove, la spiritualità, l'essenza degli incontri, di ogni
accadimento? O le persone che amo e davanti alle quali vorrei apparire sempre
perfetta, quelle che adesso mi sembra di accusare. Quelle che vorrei proteggere
perché non si sentano responsabili. Cosa è altro se per ogni altro che esiste
ci devo mettere il corpo e comunque devo essere presente, partecipe, e adesso
la mia anima, che è poi il mio corpo, mi sta dicendo che basta, basta tutto,
che non ce la fa più. Altro non c'è. C'è solo questo segno sul seno, e ci sono
io, una delle tante.
Alla fine, è andata bene, sta andando bene, mi resta una cicatrice, una protesi e l’amore di chi ho avuto accanto.
Il cancro fa schifo, non è un dono, non mi ha reso una guerriera, ma ha riempito il mio sguardo di longanimità.
(Il girasole l'ho disegnato nei giorni successivi all'intervento)