La casa si è svuotata, come tante altre case in città, chi resta diventa spettatore di un film del passato. Quando si spegne il frastuono delle abitudini e dei doveri, dei corpi che si evitano, si sente la malinconia di tutto quello che non si vede. Sono le sedie, le pareti, gli armadi e tutti gli oggetti a parlare, rimandano indietro le immagini registrate negli anni, le voci che hanno trattenuto, amplificando il vuoto, come un’eco.
Monica è partita con Renato per la Grecia, Fabrizio e Valerio sono andati a Favignana e Anita adesso è sola, per un paio di giorni può restare in silenzio ad ascoltare la casa; può restare seduta a guardare il tavolo attorno al quale hanno riso e litigato, la libreria che non ha più spazio e mostra fiera pile di libri accatastate sopra; può ridere come una bambina, guardando lo spigolo della credenza contro il quale Sasà urtava quasi tutte le mattine.
Il suono del telefonino arriva ad interrompere il racconto delle cose, torna protagonista il presente, le parole e i gesti, Anita risponde, mentre finalmente gli occhi lasciano andare qualche lacrima.
<<Uè, allora, quando mi raggiungi?>>
La voce sicura e protettiva di Roberta le arriva come un monito benevolo.
<<Il sedici, come avevamo detto.>>
<<Puoi venire anche oggi, così ti fai il Ferragosto con noi, gli ospiti sono andati via prima del previsto, volevano andare a Ravello. Muoviti e vieni, jamme.>>
<<Non lo so, già mi ero organizzata per il sedici, devo ancora finire la valigia.>>
<<Non dire stronzate e vieni.>>
Anita sorride, quasi contenta di ricevere un ordine, per una volta si lascia guidare.
<<Va bene, d’accordo, parto tra qualche ora.>>
Va in cucina a mischiare lievito e farina, acqua e olio, sale e fiducia.
Mette a riposare la tonda madre bianca e comincia a svuotare il frigorifero dai piccoli avanzi: un pezzetto di pancetta tesa, uno spicchio di provolone, del parmigiano grattugiato ed un piccolo cacciatorino.
Sminuzza tutto in un piattino, poi si lava le mani e prende il cellulare per comunicare ai figli i nuovi programmi. Con meraviglia scopre di non aver sentito mezz’ora prima il suono che avvertiva di un messaggio WhatsApp, un messaggio di chi negli ultimi mesi le sta regalando un po’ di tenerezza.
- Sei in città? Cosa stai facendo?
- Sì, sono ancora a casa, parto tra qualche ora, sto facendo la pizza al.
- Al? Cioè?
- In famiglia la chiamiamo “al”, perché gli ingredienti cambiano in base a quello che è rimasto in frigorifero, avanzi da consumare.
- Ahahahah capisco.
- Ma è buona, sai…
- Come te, buona come te, che sei una donna “al”, piena di bellezza e sapori sempre nuovi, che mi piacciono ogni giorno di più.
- Vabbè, fammi imbottire la pizza, che poi deve crescere un altro po’, prima di essere infornata.
- A dopo
- A dopo
Anita stende l’impasto e vi sparge sopra tutto quello che è contenuto nel piatto, una spolverata di pepe e arrotola la sfoglia in un lungo filoncino, che poi sistema in una teglia oliata. Prima di infornare, accende la tivvù, c’è un film di Sergio Leone con Clint Eastwood, e per un attimo è come se accanto a lei sul divano ci fosse anche Sasà, che amava tanto i western all’italiana.
Il tempo non esiste, la vita è un cerchio in cui ci sono tutti quelli che abbiamo incontrato, non c’è un prima e un dopo, ci sono quelli che abbiamo amato e non smetteremo mai di amare, quelli che incontreremo e ci sembrerà di amare da sempre, e c’è chi ci ama e non ce lo dice con le parole dell’amore, ma attende solo un nostro cenno per lasciarsi andare.