venerdì 12 settembre 2014

121. SOLIDARIETÀ

Chi si accinge alla lettura di questo post, nella maggior parte dei casi, penserà al concetto di solidarietà come di generosità, di impegno etico-sociale verso chi è in difficoltà. Fino a qualche mese fa, io stessa avevo un'accezione esclusivamente positiva del termine, mi rievocava un po' i principi della Repubblica Francese (Liberté, Égalité, Fraternité), Fraternité, tutti solidali, tutti disponibili verso chi vive un disagio, "uno per tutti, tutti per uno", ma questa è un'altra storia. Inoltre, reminiscenze di natura universitaria, hanno contribuito a rafforzare l'aspetto positivo del termine, associandolo alla responsabilità dei soci nelle società di persone, al concetto di redistribuzione del reddito, che è poi uno dei principi base del nostro sistema economico. Crescendo, ho associato questo termine alle lotte di classe, alle battaglie sociali, o più semplicemente alle scelte determinate dal rispetto verso un familiare, un amico, un membro di un gruppo o una categoria cui si appartiene. Ecco, tutto molto bello, molto teorico, ammirevole. 
Ai miei colleghi che leggeranno questo post, invece, come a me del resto, la parola "solidarietà", da qualche tempo evoca spiacevoli sentimenti, sensazioni di insuccesso, di un sacrificio evitabile. Per molti dipendenti, purtroppo, questo termine ha perso il suo più nobile significato, costituendo nient'altro che il nome dell'ammortizzatore sociale cui ha fatto ricorso l'azienda per cui lavora.
Oggi io sono a casa perché anche la mia azienda ha fatto ricorso a questo ammortizzatore ed io non riesco a sentirmi contenta, non riesco a sentirmi "generosa", solidale. Eppure nei miei slogan da ragazzina, alle manifestazioni, c'era sempre quello che diceva "lavorare meno, lavorare tutti", ed io ci credevo, ed io lo urlavo con passione. All'epoca ero ancora più convinta di adesso di poter cambiare il mondo, di riuscire a far sentire la mia voce, di poter combattere per un ideale, e ritenevo che la solidarietà, il desiderio di un risultato utile a tutti, fosse condivisibile da tutti. E allora perché oggi sento che il mio contributo poteva essere evitato? Perché penso che gli ammortizzatori sociali non siano più un bene per i lavoratori, ma  un ulteriore "aiutino" dello stato alle aziende in difficoltà? Forse perché troppo spesso le persone vengono considerate numeri, perché non si pensa alle conseguenze che una scelta aziendale possa avere sugli uomini, sulle loro famiglie. E a pagare sono sempre gli stessi. Sì, d'accordo, ci hanno detto che ci sono degli esuberi, che ci sono lavoratori (colleghi) che rischiano il posto di lavoro, per cui abbiamo pensato che il nostro contributo fosse moralmente corretto, certo, ma se si fosse provato ad agire in altro modo? Se magari si fosse organizzato il lavoro in maniera tale da distribuirlo correttamente tra i dipendenti, se si fossero evitate assunzioni tese solo ad ottenere sovvenzionamenti, se non si fosse chiesto il supporto di società esterne? Prevenire è meglio che curare, no? E se poi alla fine davvero di dovesse far ricorso al licenziamento, lo si dovrebbe fare considerando le caratteristiche del dipendente, la sua capacità di "rivendersi" sul mercato del lavoro, e, soprattutto, bisognerebbe valutare il contributo reale che ciascuno apporta all'azienda, perché la solidarietà sia reciproca e non unilaterale. Non come in certe famiglie dove c'è chi dà sempre e quello che prende solo. Nelle imprese con scopo di lucro non funziona così. Parlo da profana, solo per dire che se si accettano alcune scelte aziendali, non sempre condivisibili, lo si fa in forma apparentemente passiva, perché non è data altra opportunità, ma occorre ricordare che quel mare di matricole "solidali" non hanno solo un cuore "ricattabile", ma anche un cervello.

1 commento:

  1. Ho sempre pensato che così com'è strutturata l'economia ed il dare ed avere mondiale ci fosse un limite...ed infatti quel limite è stato superato ! Non si può pensare di avere tutti un guadagno e nessuno una perdita..ed è impensabile che in un'azienda ci siano 1000 dipendenti: il proprietario guadagna 1 milione di euro al mese...3-4 figliastri 100000 euro al mese...20 persone 5000 euro al mese e 975 schiavi a 1400 euro al mese...poi quando il proprietario vede diminuire il suo guadagno a 50000 euro al mese e cosi via per i figliastri..si dichiara l'esubero !!! E gli schiavi vanno a casa con una mano davanti e l'altra dietro..mentre il proprietario, magari si sposta all'estero e nel frattempo coi milioncini di euro tenuti chissà dove guadagna signorilmente da vivere senza problemi !!!....se poi teniamo conto che gli ex schiavi del 3^ mondo sono adesso delle economie emergenti che producono a costi dimezzati e stracciano le ex economie forti..allora l'orizzonte si fa ancora più nero.
    L'unica solidarietà sociale che io conosco è la ridistribuzione del reddito..ma non la cagata della spending review o similari..ma ridistribuzione nel senso che se John Elkann guadagna 100000000 di euro all'anno...gli diciamo " caro tu da oggi guadagni 50000 euro all'anno e con il resto dei soldi facciamo lavorare altri 3000 lavoratori a 30000 euro all'anno...e così via per Montezemolo..briatore..etc per poi a finire ai parlamentari....e vedrai come non ci saranno più esuberi ed i giovani saranno tutti occupati.....
    Ma questa è pura fantasia..non avverrà mai.....ed allora di quale solidarietà si parla ?????????????????????????????

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