Dopo quanto
è accaduto a Catania nei giorni scorsi, nel reparto di ginecologia dell’ospedale
Cannizzaro, si è sollevata nuovamente la questione dell’opportunità della
presenza dei medici obiettori di coscienza negli ospedali. Anche se la morte della giovane Valentina potrebbe non essere attribuibile all’inerzia del medico
obiettore, la vicenda ha dell’assurdo. Vi dico la mia.
Dieci anni
fa ero una giovane donna all’inizio della seconda gravidanza, felice, ottimista
e piena di aspettative verso il futuro, ero convinta che la vita avrebbe
continuato a regalarmi gioia e fortuna, come aveva fatto fino a quel momento.
Nel luglio del 2006, quindi, non ero per niente in ansia quando mi sono recata in
ospedale per effettuare l’amniocentesi, sarebbe stata una formalità. Mentre
attendevo il mio turno e chiacchieravo amorevolmente con le altre donne in dolce
attesa, ho appreso che una di loro era lì ad insaputa del ginecologo che la
stava seguendo. “Sai com’è?” mi ha detto, “il mio ginecologo non è d’accordo, non
vorrebbe che io facessi questo esame, è obiettore di coscienza lui”. “E quindi?”
le ho chiesto, “cosa ti importa? Cambia medico. Lavora in un ospedale ed è
obiettore di coscienza?”. Lei mi ha messo a tacere mettendomi una mano sul braccio,
mentre alzava la testa in segno di saluto “Buongiorno dottore!”, proprio in
quel momento stava attraversando il corridoio un tipo occhialuto e scuro di
capelli che, con un sorriso di convenzione, rispondeva al saluto. Intuendo che si
trattasse del suo ginecologo, armata di coraggio e spirito ribelle che da
sempre mi accompagna, gli ho detto “Ah, bene. Lei è il dottore che segue la signora, e che
non vuole che lei faccia l’amniocentesi.” – “Certo!” mi ha risposto e, scappando
via, con il classico sorrisetto da vigliacco, ha pronunciato qualcosa di mostruoso: “Mica
vogliamo uccidere i bambini?”. Sono rimasta di pietra, avrei voluto insultarlo,
dirgli quanto fosse stato violento ed irritante il suo atteggiamento, ma non ne
ho avuto la forza. Mi sono limitata a fissarlo con sguardo di compassione impegnandomi a
distrarre la sua paziente; ho cercato di trovare altri argomenti, perché non si
rattristasse, ho provato a farla sorridere con una battuta, e poi gliel'ho detto: “Cambia medico, è una brutta persona.”
Caro il mio dottore,
che prendi soldi a nero nel tuo studio, che induci le donne a scegliere il
cesareo per fare presto e prendere più parti in un giorno, e poi beccarti la
mazzetta per ciascuno di questi; caro dottore che nelle cliniche private
pratichi interventi di vario genere a costi elevati, che non rispetti etica e
dolore, che paragoni una madre che sceglie di abortire, nel rispetto della
legge, ad un assassino, sei un vile, arrogante e penoso carnefice. Sei tu che
ti accanisci con chi è più debole, che non hai rispetto per nessuno. E sai
perché? Perché forse non sai che una donna si sente già madre da quando scopre
di avere un ritardo, una donna sa già di avere un figlio in grembo, prima
ancora che il test le dia la risposta, e per questa donna la scelta di un
aborto è comunque una scelta devastante. Perché decidere di non mettere al
mondo un figlio è una scelta che si paga per tutta la vita, con la propria
vita. Quando si decide di mettere al sicuro il proprio figlio da una vita di
rinunce, di derisione, di emarginazione, di sofferenze fisiche o di mille altre
torture, lo si fa per proteggerlo, decidendo di soffrire al suo posto. Decidendo
di farsi carico di una scelta dolorosa. Perché dopo un aborto un piccolo cuore
smette di battere solo per la medicina, ma continua a battere nel cuore della
mamma per sempre.