martedì 18 gennaio 2022

L'inerzia del corpo è l'inerzia della mente

Il male è cominciato con il lockdown: tutti bloccati in casa a fare provviste e cucinare, a proteggere la carne con il cemento.  Tutto è cominciato con l'immobilità. Chiuderci in un recinto come polli di allevamento è stato l'inizio della fine. Indicarci l'isolamento come unica salvezza del corpo ha annientato ogni volontà, ogni desiderio dell'anima. L'obiettivo era non contagiarsi, e per farlo bisognava stare fermi, paralizzati. Ed eravamo anche felici, stavamo proteggendo noi stessi e i nostri affetti più vicini; all'inizio ci piaceva questa chiusura nel guscio, sembrava che tutti i pericoli fossero stati lasciati fuori la porta di casa. E invece, mentre impastavamo, cominciavamo a coltivare altri mali più subdoli proprio all'interno delle nostre abitazioni. Ci stavamo deteriorando a poco a poco, come i frutti di una serra lasciati a marcire. Senza pensare a chi viveva solo, o peggio con qualcuno da accudire o da temere.

Lavoro in una grande azienda privata da 23 anni, svolgendo varie attività, ma soprattutto condividendo tante ore al giorno con centinaia di colleghi che ho sempre osservato con curiosità antropologica. Il lavoro da impiegato porta inevitabilmente ad un appiattimento degli stimoli, nella ripetitività delle azioni si coltiva la pigrizia e si spegne ogni ambizione. Una volta raggiunta la certezza lavorativa e il tanto agognato stipendio fisso, ci si adagia fino a diventare una sorta di automa.
Da questo destino ineluttabile si salva chi amplia il proprio sguardo verso altri progetti, altri contesti e, sviluppando un pensiero critico, finisce per agire al meglio anche nello svolgimento delle proprie mansioni professionali, lavorando con cognizione di causa e non come mero esecutore di ordini.
Molti, si sa, finiscono per abbrutirsi e perdere ogni desiderio di evoluzione e, dopo pochi anni dall'assunzione, cominciano a fare il countdown verso la pensione, come se il lavoro fosse una pena da scontare, un prezzo per la libertà.
Così abbiamo creduto che nel torpore delle nostre rassicuranti case stessimo scontando una pena, al termine della quale avremmo potuto godere di una nuova normalità, che poi sarebbe stata quella da pensionati. Eravamo fermi e assieme alle gambe restavano immobili anche i pensieri, in un'attesa sterile e soporifera. L'errore più grande è stato definirlo tempo sospeso, come se nella vita si potesse stare in stand by, come se fosse possibile premere il tasto pausa e poi riprendere dallo stesso punto. No, non è mai stato un tempo sospeso, ad essere sospesi erano solo i sogni, i desideri, era vietato progettare, vietato essere liberi nel corpo e quindi anche nella mente.
Il corpo è tutto, il corpo sa tutto e il suo benessere passa attraverso il movimento, la contaminazione, la libertà.
La vita va onorata con coraggio, con fiducia, senza pause. Un corpo che si muove, che si stanca, è un corpo che cerca ancora risposte, mentre la mente formula domande. 
Non fermiamoci mai, altrimenti finiamo per accontentarci delle risposte che ci portano a domicilio, pigramente, senza alcuna alternativa. 







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