Che sia meglio restare o andar via, che sia più coraggioso sopportare il peso del ruolo familiare o rimettersi in gioco e concedersi un'altra opportunità.
Ilary
Blasi e Francesco Totti si sono lasciati, hanno fatto ciò che fa circa il 48%
degli italiani, ma la notizia in alcuni lascia un po’ di amarezza, in chi riconosce
una certa sacralità ai personaggi pubblici e li pone al di sopra delle regole e
delle statistiche. Ci hanno cresciuti con le favole e nelle favole amiamo
credere. Allora perché non ci impegniamo tutti per portare avanti la nostra
favola? Perché non vogliamo affrontare la fatica di mandare avanti una famiglia
accettando la stanchezza e le delusioni?
Perché
scappiamo da un fallimento, anziché provare a comprenderne le cause ed imparare
ad accettare i cambiamenti? Probabilmente perché più recentemente ci hanno
raccontato la favola della bellezza della solitudine.
Chi
si separa generalmente ritiene sia meglio lasciare andare, piuttosto che
aggiustare, ha un’idea di coppia più romantica, più pura, e non accetta
compromessi. Chi resta ha una maggiore propensione al sacrificio, o è più
disincantato, o semplicemente ha trovato il socio giusto per l’impresa della
vita. Un alleato con la stessa tenacia o la stessa pigrizia, che non ci pensa
proprio ad una separazione perché sarebbe un nuovo inizio, un percorso duro e
stancante, come un risveglio, un trasloco nel bel mezzo di una guerra.
Lasciando
perdere i casi in cui la separazione è necessaria per la sicurezza fisica e l’integrità
mentale delle persone, esistono comunque
conflitti che logorano la coppia e che non possono essere sanati, ma solo
eliminati con la rottura del vincolo matrimoniale.
Chi
accetta passivamente questi conflitti, chi ignora la mancanza di stima, di
rispetto, non ha, o perde definitivamente, la stima di sé, e dà un esempio pessimo ai propri figli
che, un giorno non troppo lontano, potrebbero commettere gli stessi errori e provare
risentimento verso i genitori. Quindi, cosa fare? Dove è il limite oltre il
quale non tollerare? Forse dovrebbe bruciare la città, come cantava Massimo Ranieri,
e osservare con chi, verso chi si corre.
Ci vuole coraggio ad andare, ma anche a restare, ci vuole un’idea diversa di matrimonio, che non ha niente a che vedere con l’amore, ma con il senso della condivisione, della collaborazione, del sacrificio del proprio interesse personale in virtù di un interesse comune prioritario. Se partiamo dall’idea di famiglia intesa come gruppo di individui che, nel rispetto reciproco, affronta insieme le difficoltà, i dolori, che accoglie e sopporta le assenze periodiche di ciascun membro, allora forse riusciamo a creare un’armonia che mantiene intatti i fili che legano la coppia, li rende elastici, e non li fa spezzare.
Il
punto è capire, in un’epoca in cui conta più l’idea che gli altri hanno di noi,
che quel che realmente siamo, ci sentiamo più fieri di mostrare gli anniversari
o le conquiste individuali? Ci inorgoglisce più un matrimonio longevo o l’autonomia
e la responsabilità personale? Cosa è un matrimonio lungo, un alibi o una
conquista?
Forse
non sapremo rispondere mai a queste domande, forse qualcuno ha fatto una scelta
di comodo, qualcun altro crede di essersi sacrificato per amore, ma alla fine sappiamo
di poter essere felici solo nei pochi istanti in cui crediamo di aver fatto
felice qualcuno che amiamo, restandogli accanto o lasciandolo andare.
👍👏👏👏
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