martedì 12 luglio 2022

E VISSERO TOTTI FELICI E SCONTENTI

Che sia meglio restare o andar via, che sia più coraggioso sopportare il peso del ruolo familiare o rimettersi in gioco e concedersi un'altra opportunità.

Non c'è un'unica risposta, perché non c'è una condizione uguale per tutti.
Quando si hanno figli, è inutile dire bugie, la separazione non è quasi mai la scelta giusta; i figli desiderano che la famiglia resti intatta, unita, che vada avanti nel bene e nel male, che non si apra e resti chiusa a proteggerli, che sia il rifugio sicuro per sempre.
Se poi è dentro la famiglia che nasce il dolore, che si creano rancori e risentimenti, se è proprio nello stesso vaso che cresce e si nutre il verme della diffidenza e dell'ostilità, allora è meglio separare il terreno.

Ilary Blasi e Francesco Totti si sono lasciati, hanno fatto ciò che fa circa il 48% degli italiani, ma la notizia in alcuni lascia un po’ di amarezza, in chi riconosce una certa sacralità ai personaggi pubblici e li pone al di sopra delle regole e delle statistiche. Ci hanno cresciuti con le favole e nelle favole amiamo credere. Allora perché non ci impegniamo tutti per portare avanti la nostra favola? Perché non vogliamo affrontare la fatica di mandare avanti una famiglia accettando la stanchezza e le delusioni?

Perché scappiamo da un fallimento, anziché provare a comprenderne le cause ed imparare ad accettare i cambiamenti? Probabilmente perché più recentemente ci hanno raccontato la favola della bellezza della solitudine.

Chi si separa generalmente ritiene sia meglio lasciare andare, piuttosto che aggiustare, ha un’idea di coppia più romantica, più pura, e non accetta compromessi. Chi resta ha una maggiore propensione al sacrificio, o è più disincantato, o semplicemente ha trovato il socio giusto per l’impresa della vita. Un alleato con la stessa tenacia o la stessa pigrizia, che non ci pensa proprio ad una separazione perché sarebbe un nuovo inizio, un percorso duro e stancante, come un risveglio, un trasloco nel bel mezzo di una guerra.

Lasciando perdere i casi in cui la separazione è necessaria per la sicurezza fisica e l’integrità mentale delle persone, esistono comunque conflitti che logorano la coppia e che non possono essere sanati, ma solo eliminati con la rottura del vincolo matrimoniale.

Chi accetta passivamente questi conflitti, chi ignora la mancanza di stima, di rispetto, non ha, o perde definitivamente, la stima di sé, e dà un esempio pessimo ai propri figli che, un giorno non troppo lontano, potrebbero commettere gli stessi errori e provare risentimento verso i genitori. Quindi, cosa fare? Dove è il limite oltre il quale non tollerare? Forse dovrebbe bruciare la città, come cantava Massimo Ranieri, e osservare con chi, verso chi si corre.

Ci vuole coraggio ad andare, ma anche a restare, ci vuole un’idea diversa di matrimonio, che non ha niente a che vedere con l’amore, ma con il senso della condivisione, della collaborazione, del sacrificio del proprio interesse personale in virtù di un interesse comune prioritario. Se partiamo dall’idea di famiglia intesa come gruppo di individui che, nel rispetto reciproco, affronta insieme le difficoltà, i dolori, che accoglie e sopporta le assenze periodiche di ciascun membro, allora forse riusciamo a creare un’armonia che mantiene intatti i fili che legano la coppia, li rende elastici, e non li fa spezzare.  

Il punto è capire, in un’epoca in cui conta più l’idea che gli altri hanno di noi, che quel che realmente siamo, ci sentiamo più fieri di mostrare gli anniversari o le conquiste individuali? Ci inorgoglisce più un matrimonio longevo o l’autonomia e la responsabilità personale? Cosa è un matrimonio lungo, un alibi o una conquista?

Forse non sapremo rispondere mai a queste domande, forse qualcuno ha fatto una scelta di comodo, qualcun altro crede di essersi sacrificato per amore, ma alla fine sappiamo di poter essere felici solo nei pochi istanti in cui crediamo di aver fatto felice qualcuno che amiamo, restandogli accanto o lasciandolo andare.



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