martedì 31 maggio 2016

207. SARA, IL GORILLA E NOI

Questa settimana si sono verificati due episodi eclatanti: hanno  ammazzato un gorilla  per salvare la vita di un bambino e non si è riusciti a fermare un  animale di ben più piccola taglia  per salvare  una giovane donna.

Due casi distinti, ma con un comun denominatore: l'intervento letale dell'uomo.

L'uomo ha deciso per la bestia dello zoo di Cincinnati e sempre l'uomo ha deciso per la ventiduenne romana.

Nel primo caso, si sono create due fazioni, pro e contro le guardie "assassine", nel secondo caso tutti condannano il bestio dalle sembianze umane ed i passanti che non sono intervenuti per placare la sua furia omicida.

Noi osserviamo, commentiamo, condanniamo o assolviamo, lanciamo sentenze spesso inopportune, ma non ci fermiamo mai ad analizzare il nostro ruolo. A volte forniamo anche delle attenuanti immeritate e ci mettiamo a sbraitare contro chi non condivide la nostra idea.

"Il gorilla poteva essere salvato, del resto è colpa dei genitori se il bambino è caduto nella gabbia", "Il gorilla nella gabbia non ci doveva proprio stare, gli zoo andrebbero aboliti", "La ragazza non doveva andare all'appuntamento con l'ex", "I passanti dovevano intervenire", sono le espressioni più ridondanti in queste ore. E' una questione di egoismo. Chi uccide un animale in una gabbia perché intende salvare un bambino fa due cose buone: protegge un piccolo essere umano e diventa un eroe, tutti gli saranno grati e, a parte qualche animalista fanatico, nessuno potrebbe attentare alla sua incolumità. Chi usa la forza per fermare un uomo che sta facendo del male ad un suo simile, invece, rischia la vita per la rabbia del bestio e, se si salva da lui, si becca la condanna della pubblica opinione buonista e di una giustizia 'ingiusta' e garantista. E allora, ammettiamolo, le cose sono andate come era prevedibile che andassero, nessun clamore, nessuna novità, non fingiamo di scandalizzarci!




domenica 22 maggio 2016

206. LA PAZZA GIOIA MIA

Ieri sera sono andata a vedere La pazza gioia, l’ultimo film di Virzì con Micaela Ramazzotti e Valeria Bruni Tedeschi, ed ancora adesso ne avverto i postumi. Sono uscita dal cinema commossa ed un po’ angosciata. Il tema della follia mi affascina e mi spaventa al tempo stesso, per quanto possa essere labile il confine tra equilibrio e pazzia, e per quanto sia difficile stabilire un punto di non ritorno. Sì, perché se alcuni comportamenti ritenuti folli possano essere interpretati come espressione di libertà, di spontaneità o semplicemente di fragilità, tanto da apparire atti di coraggio, tanto da fare invidia al popolo dei ‘normali’, quando questi stessi comportamenti procurano dolore e sofferenza al folle, non suscitano più ammirazione o tenerezza, ma fanno paura.  Se per essere libero, spontaneo, devo rischiare di essere etichettato come folle, beh, allora meglio la normalità che mi consente di agire nell’anonimato e di mietere vittime, piuttosto che la sana pazzia che mi fa sì gioire, ma mi relega ad un ruolo scomodo e di emarginazione irreversibile.
Le due protagoniste sono donne belle, molto diverse l’una dall’altra, una elegante, raffinata e molto sensuale, l’altra più dura ed arrabbiata, ma entrambe fragili e pericolose. Una fragilità che le ha rese facili prede di uomini squallidi e volgari, ma che puntualmente si ritorce loro contro.
La prima, la sofisticata Beatrice (Carla Bruni), sempre alla ricerca di conferme maschili, può definirsi vittima di un egocentrismo e di un desiderio sessuale facilmente riconducibili ad una  reale patologia, è l’esasperazione di una tipologia di donna molto diffusa. Ne conosco tante di donne come lei: piene di vita, di delicate espressioni e fragili paure, pronte a diventare schiave di uomini rozzi che di loro non sapranno mai cogliere la bellezza, che le offenderanno, le umilieranno, attori inconsapevoli, obbedienti al ruolo di carnefice che le loro vittime gli hanno attribuito dall’inizio.
La seconda, la giovane Donatella (Micaela Ramazzotti), diffidente e corazzata, frutto di un’esistenza resa difficile da  genitori pavidi ed infantili, esposta alla crudeltà di un uomo che non ha alcun rispetto per lei e per il figlio che da lei ha avuto. Ed è l’amore per questo figlio che rende Donatella tremendamente infelice, per quello che vorrebbe e non può essere, ma è sempre per questo amore che trova la forza di continuare e di abbandonare un po’ di follia. Anche di Donatelle ne conosco, di madri che per proteggere i propri figli, finiscono per apparire meno mamme di altre, ma non hanno proprio nulla di ‘sbagliato’.

Spero di smaltire i postumi quanto prima, ma nel frattempo, viva i folli, ma attenti a non raggiungere mai il punto di non ritorno.


giovedì 19 maggio 2016

205. RADICALE LIBERO

Avevo circa otto anni e frequentavo la terza elementare in un istituto di suore, quando fu ucciso Aldo Moro. Di quei giorni ricordo solo una marea di manifesti con il suo volto incollati ai muri delle strade, i numerosi servizi del telegiornale e qualche preghiera recitata in suo suffragio a scuola. Non capivo ancora bene cosa stesse accadendo, ma ricordo che in quel contesto fu fatto anche il nome di Marco Pannella. Ho appreso molti anni dopo la sua posizione rispetto all'accaduto, la sua volontà di percorrere la strada della trattativa durante il sequestro, volontà che, come adesso è noto, nessuno condivise, neanche il Papa. Avevo pochi anni in più, quando sentii parlare nuovamente di questo Pannella, perché durante un TG della RAI si era presentato imbavagliato per contestare la gestione delle informazioni. Poi per un po' Marco Pannella è stato "quello degli scioperi della fame", ogni ingiustizia sociale, ogni azione legislativa che ritenesse lesiva della dignità della persona, la condannava con il suo digiuno. Sit-in, scioperi della sete, scioperi della fame, una volta avevo letto che per sopravvivere durante uno sciopero della sete, si era visto costretto a bere la sua pipì. Mi chiedevo se non fosse sbagliato adottare questo sistema perché la gente sapesse, se il gesto eclatante potesse servire a risvegliare le coscienze. Per me, come per molti altri adolescenti, era uno "eccessivo", un esibizionista. Crescendo, ho imparato che spesso alcuni gesti eclatanti sono necessari, che fare politica in un certo modo non è sbagliato, che manifestare le proprie idee sempre e comunque è espressione di libertà. 
Le battaglie per la qualità della vita nelle carceri, per l'abolizione della pena di morte, venivano puntualmente minimizzate e ridicolizzate da quelli che amavano definirlo "il politico che faceva uso di droghe", "quello che voleva legalizzare gli spinelli". In età adulta, ho ripensato a lui, alla Bonino, a tutti quelli che si erano battuti perché io, e tutte le donne italiane, avessimo la possibilità di scegliere di abortire. Oggi sono in tanti quelli che lo salutano con ammirazione, che gli riconoscono un ruolo positivo nella politica italiana, gli stessi che non se ne fregano niente di sapere cosa sia realmente accaduto a Giulio Regeni, che magari non sanno manco chi è. Ecco, per Regeni, probabilmente per mille altri casi ancora, mi ritroverò a rimpiangere un uomo come Marco Pannella.
Ed è per lui che mi viene da ridere ogni volta che si parla di combattere i radicali liberi.


mercoledì 11 maggio 2016

204. RENZI TI VOGLIO BENE

Non è il titolo di un nuovo film di Benigni, no, che tra l'altro, dopo le recenti affermazioni sul referendum costituzionale di ottobre, credo meriti di essere riabiltato.
È piuttosto il vero titolo dell'editoriale di Scalfari oggi su la Repubblica.
Per me è stata un'ardua impresa arrivare fino in fondo all'articolo, il bruciore di stomaco aumentava ad ogni parola, ed ha raggiunto l'apice quando ho letto le seguenti affermazioni:
" ... Personalmente non mi oppongo affatto al monocameralismo, esiste in quasi tutti i Paesi d’Europa. Non mi oppongo neppure a chi comanda da solo, con un ristretto cerchio magico di devoti: anche questa, in una società complessa come quella in cui viviamo, è diventata di fatto una necessità. Salvo un punto che tuttavia è fondamentale: ci dovrebbe essere una oligarchia invece del cerchio magico dei devoti …”
Che misero leccaculo!

Poi, gli ho voluto concedere il beneficio del dubbio, ed ho proseguito, ma ho dovuto fare un grande sforzo per riprendere la lettura dell'articolo e, devo dire, sul finale si salva in parte, trovando un po' di Malox nelle ultime parole, soprattutto quando afferma:
"... Renzi — lo ripeto con verità e senza ironia — ha carisma e l’intelligenza di saperlo usare. Quindi così sia. Ma, secondo il mio personale punto di vista, così sia soltanto ad alcune condizioni. 1. Modificare la pessima legge elettorale già esistente e adottare invece quella di De Gasperi del 1953, fondata sul sistema proporzionale.
2. Ammettere l’apparentamento tra varie liste, cioè un’alleanza pre-elettorale. 3. Introdurre un premio previsto ad una maggioranza che ottenga un voto del 50 per cento più uno. Una maggioranza talmente esigua da rischiare l’ingovernabilità. Il premio dovrebbe arrivare al massimo ai 55 seggi ottenuti dai partiti che hanno vinto ….
... Caro Matteo, tu non sei un Papa e soprattutto non sei questo Papa. Ma devi essere il leader di un partito di sinistra. Ebbene sposta la sinistra e te stesso su questa battaglia che ti eleva ad un livello diverso e nuovo: adeguato almeno in parte a quello della Germania di Angela Merkel. Se farai questo, gli europeisti d’ogni Paese del nostro continente saranno al tuo fianco.Altrimenti crollerai sotto il peso di errori economici, demagogici e politici che diffonderanno gli illeciti profitti d’una corruzione che ormai già minaccia profondamente l’interesse
dello Stato, cioè di noi tutti ..."

C'è una questione importante su cui non si sofferma Scalfari, ed è per questo che non ha più la mia stima: la corruzione. 

Quando elenca le condizioni alle quali accetterebbe Renzi come capo assoluto, dittatore insomma, non indica la caratteristica principale che dovrebbe possedere un uomo, politico o non: l'onestà. Davigo ha detto una grande verità, generalizziamo se vogliamo, diciamo pure che tutti rubano, che tutti fanno 'piaceri' ad amici e parenti, tutti corrotti, ma è grave che nessuno più se ne vergogni.
Forse è condivisibile quanto afferma Scalfari sulla volontà di pochi, sull'esigenza di un condottiero che riorganizzi il caos attuale, in molti dicono: voglio un dittatore buono! In alcuni momenti l'ho detto anche io. Ma il dittatore buono non esiste. Il dittatore buono dovrebbe essere come una madre, ed il popolo i suoi figli. Allora sì. Ma con tanti figli, la migliore delle madri non potrebbe fare a meno di chiedere aiuto a qualche collaboratore, di demandare ad altri qualche compito, insomma, si troverebbe in debito con questi surrogati di genitori, e prima o poi sarebbe costretta ad affidare a questi alcuni dei suoi  figli, magari quelli meno remissivi. La migliore delle madri, si troverebbe ad assoldare dei maestri, degli educatori e piano piano perderebbe controllo anche su di essi, sarebbe costretta a sdebitarsi, insomma, non sarebbe più l'unica a decidere, ma non sarebbe neanche disposta a dire di aver sbagliato. Ci vorrebbe quindi un codice di condotta, ma dovrebbe essere approvato da tutti. La prima cosa che insegna una buona madre è la condivisione, la solidarietà e la partecipazione. La migliore delle madri fa il bene dei suoi figli, ma non vuole che altri critichino il suo operato. Il dittatore buono non esiste, la madre perfetta non esiste. Sbagliare con un figlio si può, c'è sempre modo per rimediare, ma sbagliare con una nazione è molto più grave e gli errori potrebbero essere irrimediabili.

Scalfari, che ne direbbe di restare al bar assieme ad Augias? Mi pare non abbiate più tanto da dire.


giovedì 5 maggio 2016

203. AUGIAS, RESTA AL BAR

Corrado Augias, durante un'intervista a Giovanni Floris, parlando della piccola vittima del Parco Verde di Caivano, ha affermato di essere rimasto colpito dal “contrasto che c’è tra lo sfondo e questa bambina che aveva 5-6 anni… la guardi bene… guardi com’è atteggiata, e com’era pettinata, e come sono i boccoli che cadono… Questa è una bambina che a 5-6 anni si atteggia come se ne avesse sedici o diciotto. Questo stridore mi fa capire che anche lì si erano un po’ persi i punti di riferimento”. 
I punti di riferimento, i limiti, il controllo lo ha perso lei, caro Augias. Queste stesse affermazioni sarebbero state condannate da quella persona che non moltissimi anni fa, guardavo ammirata mentre conduceva Telefono giallo. Cosa le è successo? Forse fingeva allora?
Certe persone dovrebbero smettere di andare in tv ad una certa età, dovrebbero stare zitti e limitarsi a sparare cazzate al bar. Augias era un uomo intelligente e di grande cultura, ma l'età lo ha trasformato in un vecchio nostalgico, imprudente e forse anche troppo malizioso. O forse sono io ad essere cresciuta e a capire alcuni meccanismi che prima mi erano ignoti. Mi fa ribrezzo chi parla in questi termini della vittima di una barbarie infinita, quasi a volerla giustificare a voler sminuire la brutalità del reato. Ma come si permette? Ma come si fa a dire certe cose? Come si può parlare al pubblico così?  Far notare quanto il degrado sociale porti ad una visione esasperata della realtà, in tutti gli ambiti, è giusto, ma non era opportuno accostare la riflessione alla vicenda, è stato come lasciare intendere che gli atteggiamenti della bambina, perché di una bambina si sta parlando, abbiano potuto provocare la reazione folle dell'omicida. Questo bigottismo ottuso, questa lettura biecamente maschilista, degna della peggiore cultura cattolica, non è accettabile, nella maniera più assoluta. Non è corretto nei confronti di Fortuna innanzitutto, e di tutte le vittime delle violenze sessuali, ma è anche tristemente diseducativo, perché avalla comportamenti brutali ed ingiustificabili. Insomma Augias, riferisca le sue osservazioni  agli amici del bar e si accontenti dei compensi ricevuti per le sue prestazioni passate, più argute ed opportune. Inoltre, se pensa che una bambina coi boccoli possa essere maliziosa, se certi atteggiamenti la turbano, si faccia qualche domanda, magari ne parli con uno specialista.