Le otto e cinque, sul display del cellulare c'è scritto 08:05, ancora le otto, sono già due ore che Enzo è sveglio, e non deve lavorare, è domenica e potrebbe riposare, ma non è sereno, qualcosa lo agita, il pensiero di un incontro che aveva atteso per tanto, troppo tempo. Il braccio si piega e si tende verso il comodino, le 8:18; si gira nel letto, riaccende il cellulare, scorre la home di Facebook, guarda WhatsApp, la notifica di un messaggio del gruppo "Quelli che corrono la domenica", 7 partecipanti, ma a correre oramai ci vanno solo due; le 8:35, meglio alzarsi.
Viviamo sempre male le attese, pur sapendo che la vita è tutta lì, nel tempo che precede, che conduce. Il momento dell'incontro è un punto di arrivo, è la fine del sogno, delle paure. Scene desiderate, forme di corpi conosciuti, presentimenti di epiloghi temuti, nuove immagini di noi, ci tengono compagnia in un'estenuante staticità. Il tempo si ferma, mentre lo vorremmo consumare in fretta, si ferma nella ricerca del senso delle aspettative, di tutto. Talvolta per scaramanzia le immagini auspicate vengono scacciate, nella consapevolezza che non può realizzarsi un sogno nella maniera precisa in cui è stato sceneggiato, così si crea un'altra versione, più catastrofica, per essere certi che neanche quella si potrà verificare, anche se solo pensare ad un epilogo infelice potrebbe in qualche modo influenzare negativamente il destino. È vero che non si può programmare e prevedere ogni evento della vita, soprattutto se si tratta di emozioni, figurarsi se la scena prevede altri protagonisti, la regia è inevitabilmente la nostra, siamo gli artefici del nostro destino, si sa, ma solo sul lungo percorso, mentre le tappe hanno esiti imprevedibili e spesso ingannano.
Il solletico di una formica sul piede di Enzo lo riporta alla triste realtà: dal balcone della cucina, una lunga e fitta fila di formiche aveva raggiunto una briciola di biscotto davanti al frigo, doveva per forza smettere di pensare al futuro delle prossime ore e mettersi a risolvere una scocciatura del presente.
Quando Enzo esce dalla doccia, sono le 9:37, manca meno di un'ora all'appuntamento, deve fare in fretta, le formiche si sono rivelate ottime alleate.
Alle 10:30 Teresa sarebbe stata lì, al bar del porto, in una delle sue camicie bianche, quelle che usava sul costume, elegante come sempre, e lui non voleva essere da meno, prende dall'armadio una camicia bianca di lino e dei bermuda a righe bianche e beige, si passa le mani tra i capelli per sentire se sono asciutti e poi si siede in punta al letto.
- Che senso ha tutto questo? Dopo tre anni, che senso ha?-
Un messaggio di Pino lo fa alzare di scatto. "Dormi ancora? Domani ricordati che abbiamo il giardino del torinese, non lo dimenticare."
"OK"
"Stai dormendo, non esiste un torinese 😂"
"OK"
"😂😂😴😴"
Lo scambio di messaggi veloce, mentre si guarda un'ultima volta allo specchio.
Alle 10:30 ai tavolini del bar c'erano due coppie di mezza età, una signora anziana con un cagnolino e un uomo col cappello di paglia intento a leggere un quotidiano.
- Buongiorno Enzo, amico mio solitario.
- Ciao Filippo, stanotte ti ho pensato, eri proprio lì, come adesso, col tuo cappello di paglia e declamavi una delle tue poesie.
- Quale di quelle inutili parole raggruppate ti sono venute in mente?
- Niente è inutile di quello che hai scritto, forse per gli altri sì, ma per te è stato sicuramente utile.
Si strizzano gli occhi e si sorridono, poi Filippo si toglie il cappello e se lo porta in petto, Enzo segue il suo sguardo, alle sue spalle c'è Teresa, indossa una camicia bianca ed è bellissima.
Questa parte del sogno è identica, ma nella scena, dietro di lei, appesa con la manina alla camicia, non c'era una piccola bambina bionda.
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