venerdì 26 agosto 2022

Racconti refrigeranti 7ª scena

Ci sono sentimenti che vanno avanti da soli, anche quando provi ad ignorarli, anche quando fai di tutto per concentrarti su altro, ci sono. Li trovi una sera sotto il cuscino, mentre rovisti tra gli scontrini piegati nel portafogli, quando infili le mani fredde nelle tasche del cappotto preferito e il vento ti indurisce il viso, e ogni volta che li riscopri fanno male.


Prima di andare da Teresa, Enzo aveva deciso di scriverle una lettera, per provare a calmare quella eccessiva eccitazione, per ricordare tutte quelle volte in cui il sentimento per lei gli aveva fatto male, per rallentare i pensieri.

"Cara Teresa, dopo il tuo mancato appuntamento sono stato male, ho pianto, sì, non me ne vergogno, ho pianto davvero. Il fatto che tu non fossi venuta dopo quelle meravigliose ore trascorse insieme mi ha ferito. Ero talmente addolorato che il respiro si era fatto pesante e mi era venuto da vomitare. Mi sono sentito un idiota, un uomo ridicolo. Avevo creduto in un miracolo, io che non riuscivo più ad innamorarmi, avevo trovato nuova energia, nuovo piacere.

Quando ci siamo incontrati, quel ventisei agosto di tre anni fa, mi è sembrato che quello fosse l’epilogo, la fine di un film, che da lì in poi avremmo vissuto insieme, come del resto sognavo da quando eri arrivata sull’isola tre settimane prima. Dal momento in cui i tuoi occhi si sono accorti dei miei, dal primo incontro di pensieri, c’era stato il desiderio di te. Ci eravamo scambiati nuove curve sul viso e altri respiri, prima di toccarci, ci eravamo già parlati tante volte prima di quel giorno a casa mia, e lo avevamo fatto lasciandoci guidare dall’eros. Avevo l’impressione che anche tu mi volessi come ti volevo io, perché solo nella reciprocità prende forma l'amore vero. E la conferma era arrivata quell’ultimo lunedì di agosto.

Cara Teresa, Teresa mia, ho provato a non pensarti, ad amare altre donne, ma dopo un anno ho smesso, mi sono rassegnato, ho pensato che se era tutto vero, se davvero era tutto reciproco, allora stavi provando lo stesso tormento che provavo anche io e l’incastro sarebbe tornato perfetto. E adesso vengo da te, te lo dico che ti amo, te lo dico che voglio stare con te, e con quella piccola miniatura di te. Adesso vengo. E se non mi vuoi, vuol dire che non sei tu, che mi sono sbagliato, che nulla è vero.”

Quel pomeriggio al bar del porto, mentre Enzo andava verso casa di Teresa, c'era una coppia di anziani che discuteva, lei era su una sedia a rotelle, aveva un rossetto fucsia ed un vestito blu, lui le era seduto di fronte, occhiali da sole ed una camicia azzurra leggermente sbottonata; ogni tanto a fine agosto, si vedevano sull'isola, erano sempre insieme, sempre a parlare, a stuzzicarsi, a rinfacciarsi vecchie abitudini, nella consapevole dipendenza dall'altro. Quel pomeriggio, mentre Enzo passava avanti al bar, con la lettera tra le mani, e lo sguardo lontano, l'uomo anziano era sbiancato, lei aveva lasciato cadere la tazzina di caffè che aveva nella mano destra, il braccio penzoloni e la testa piegata sul petto. Un rivolo di caffè sul rossetto, un fermo immagine sullo sfondo, mentre la vita scorre nella sovrapposizione di nuove scene.








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