mercoledì 10 agosto 2022

Racconti refrigeranti 4ª scena

Continua dal racconto precedente...


- Sono tre anni che ti aspetto, Teresa, tre lunghissimi anni, e adesso quanto tempo ti occorrerà per spiegarmi?
- Tanto o niente, cosa importa, però adesso non posso trattenermi.
- Ci vediamo tra altri tre anni, vero Teresa? Questa bellissima bambina è tua figia?
- Sì, Laura è mia figlia. Ti chiamo io. Adesso devo andare.
Era durato pochi minuti quell'incontro tanto atteso, tanto immaginato, pochi deludenti minuti.
Adesso aveva anche una bambina, non avrebbe mai lasciato il marito. Forse era arrivato il momento dell'addio definitivo.
Confidiamo nella fortuna, confidiamo negli eventi, nel destino, quando siamo esausti, quando non sappiamo più aspettare, quando siamo stanchi di fare, quando non vogliamo più tentare, stanchi di forzare il caso e rimanere delusi. Confidiamo nel cielo, nel mistero, in tutto ciò che non conosciamo, confidiamo nell'aiuto divino, perché qualcosa arrivi.
È il momento in cui inizia la protesta silenziosa, la protesta di chi ha smesso di seminare, chi ha sopportato le piogge perché credeva nel raccolto, che ancora non è arrivato. E allora, senza forze, si arrende, si ferma: che sia tutto il resto a muoversi, che sia il cielo a decidere quando mandare una stella, perché è sicuro che prima o poi arriva quello sguardo che solleva il cuore, che giustifica ogni dolore, che dà un senso a tutto quello che è stato.
La sera del dieci agosto al bar del porto si organizzano buffet speciali e si alza il volume della radio; niente playlist, solo radio, tutto deve essere lasciato al caso, anche la colonna sonora della notte di San Lorenzo.
- Auguri
- Zitto, che qui nessuno sa che mi chiamo Lorenzo, lo sapete solo tu e mia madre.
- Vabbè, ma tuo nonno non c'è più, se adesso si scopre che ti hanno chiamato Lorenzo e non Vincenzo come lui, non se ne frega nessuno.
- Mia madre sì, morirebbe per la vergogna, per aver ingannato il nonno. Era cominciato per scherzo: Lorenzo, ma lo chiameremo Enzo come Vincenzo, così il nonno è contento - aveva detto a mio padre quando nacqui. E alla fine sono diventato Enzo per tutti e qui nessuno se lo scorda il cinque aprile di farmi gli auguri, quindi io mi chiamo Vincenzo. Tanto si vede la fortuna che mi ha portato avere le iniziali uguali per il nome ed il cognome, Lorenzo Lotteni.
- Ehhh, adesso non dire che non sei fortunato, stasera non devi dirlo, se no la stella ti cade in testa.
- Hai ragione tu, Giuseppino mio, a te è successo, vero?
- Ma va fanculo!
E ridono.
Alle undici di sera sono tutti lì, seduti fuori al bar, ai tavolini, o appoggiati al muretto:
c'è Rosa, con i suoi lunghi capelli neri, sensualmente sciolti; c'è Pino, seduto accanto alla moglie, con il braccio steso sullo schienale della sedia, dietro le sue spalle, a definire i confini, a creare casa anche lì, i bambini sono rimasti con la nonna; c'è Teresa, sola con la piccola Laura; c'è Filippo col suo cappello ed un foulard tra le mani; ci sono coppie di fidanzati e gruppi di ragazzi rumorosi; c'è anche don Antonio, il parroco.
Enzo vorrebbe portare la sua sedia accanto a quella di Teresa, ma prima decide di munirsi di birra, per tutti e due.
Mentre esce a testa bassa, con le due bottiglie di Ichnusa appese alle dita, si scontra con una donna con i capelli rossi arruffati ed un lungo vestito a fiori viola e verde.
- Attenta! Piano, pia... 
- Non ti arrabbiare, non ne vale la pena. Piuttosto brindiamo all'estate, L O R E N Z O.
- Gina!
Un tuono era arrivato forte dopo un lampo tagliente.
- Vieni da me a bere questa birra, o l'hai promessa a qualcuno? Vieni, dai, ho fatto la marmellata fortunella.
A volte le stelle cadenti hanno colori e voci strane, si presentano un po' distratte, non promettono niente, non realizzano desideri, ma ricordano che gli occhi al cielo si possono alzare anche per ringraziare.





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