sabato 21 gennaio 2017

244. OPEN DAY

Oggi sono andata all'Open Day di un liceo che potrebbe frequentare mia figlia il prossimo anno. 
Tra una folla di genitori incuriositi ed un centinaio di ragazzini intimiditi, ho visitato le grandi aule della scuola, distribuite lungo corridoi ampi e luminosi e, mentre gli altri visitatori si stringevano a gruppi accerchiando gli insegnanti, per ricavare ogni tipo di informazione, io mi estraniavo guardandomi attorno, lasciandomi assalire da una leggera malinconia. Dall'asilo fino alla terza media, ho frequentato un istituto di suore, in piena città, un convento antico con un bel cortile al centro, grandi scalinate e pavimenti sempre lucenti, una piccola cappella al primo piano ed un bel giardino sul retro. Luoghi che resteranno per sempre nella mia memoria, assieme ai profumi ed ai colori rassicuranti. 
Le superiori le ho fatte in un fabbricato orribile su due piani, con una trentina di aule ed una palestra, una palazzina spoglia e squallida. In quegli anni, quando capitava che mia madre mi portasse con sé ai colloqui con i professori delle mie sorelle, restavo affascinata dalla bellezza degli edifici, dalla storia che portavano scritta addosso.
Trovavo meravigliosi quei luoghi impreziositi dai marmi e dalle librerie di legno antico, purtroppo non sempre adeguatamente curati, e mi incantavo davanti alle vetrine con gli animali imbalsamati.
Quando oggi ho rivisto quei corridoi, quelle vetrine, e poi i laboratori di scienze, di lingue, le aule con le panche di legno distribuite a mo di gradinata universitaria, ho pensato che se io non avevo avuto tutto questo, avrebbe dovuto averlo mia figlia. Ho riflettuto sul misero grigiore dell'edificio che ospitava la mia scuola, sul ruolo che aveva avuto nella mia adolescenza quella bruttezza, e su quanto fosse ancora presente nei miei ricordi come una forzatura, un luogo avulso dalla mia persona.
Educare al bello, sin da piccoli, è necessario, lo continuo a dire, solo così si impara a non accettare tutta la disarmonia, la mostruosità a cui molti finiscono per abituarsi. Una bella casa induce al rispetto, una casa trascurata, viene ulteriormente danneggiata da chi la frequenta.
È facile pensare che sia più idonea una biblioteca per studiare piuttosto che un garage, così credo che accogliere degli studenti in un palazzo storico, dove si respira arte, dove tutto partecipa ad accrescere la conoscenza, sia il modo migliore per formare le persone.
La "buona scuola" ha ridotto i professori a mere risorse  aziendali valutabili sulla base delle ore di insegnamento, che almeno le sedi dell'impresa non siano ridotte ad opifici industriali.
In bocca al lupo a tutti gli studenti ed ai loro genitori!


domenica 15 gennaio 2017

243. QUANDO IL TROPPO STROPPIA

Questa settimana mi trovo in leggero imbarazzo, non so se assegnare il premio Pulitzer a Giusi Fasano o a Barbara D'Urso.

La prima è una giornalista del Corriere della Sera che ha pensato bene di scrivere della triste vicenda di cronaca di Pontelangorino così:
"Papà e mamma uccisi a Ferrara - Videogame, il bar, gli spinelli - I giorni vuoti di Manuel e Riccardo"
Inutile aggiungere altro, nell'articolo vecchio ed inutile, tutto il peggio del giornalismo, un'analisi sociale superficiale e molto ingenua, che finisce per apparire quasi una giustificazione per i due assassini. Effettivamente la "troppa noia", la mancanza di svaghi, portano tutti i ragazzi ad ammazzare i propri genitori, è chiaro. Certo, non è semplice parlare di argomenti così seri, non è facile analizzare le possibili cause di un gesto estremo, ma proprio per questo sarebbe meglio limitarsi alla narrazione dell'evento, provare a fornire esclusivamente gli elementi di cronaca. Se un'analisi va fatta, perché senz'altro deve essere fatta, è opportuno che la si esponga per intero, perché se è vero che la noia è dannosa per chiunque, è ancor più vero che un ragazzo che ha ancora tanto da imparare, da scoprire, non può annoiarsi perché il paese in cui vive non gli offre luoghi o manifestazioni interessanti, non può essere stanco de "le solite giornate", perché se si punta l'attenzione su questo, il carnefice appare una povera vittima. Ed è senz'altro una vittima, ma una vittima che deve essere spronata a combattere le cause del proprio malessere, con fatica, con coraggio, che non deve essere abbandonata, ma educata alla curiosità, al sacrificio, alla ricerca di uno scopo, da individuare e da realizzare con impegno. Forse mancava questo a quei ragazzi, e non solo a loro. E mancava senza dubbio la percezione della gravità del gesto che hanno compiuto, della reale entità. Perciò, prima di lanciarsi in analisi superficiali e banali, prima di assolvere gli assassini, bisogna andare più a fondo e poi non risparmiare loro una pena severa e giusta.

Su Barbara D'Urso è già stato detto di tutto di più, ed io trovo che sia davvero assurdo quanto accaduto negli studi del suo diseducativo programma. Non credo sia la prima volta che la show woman si sia espressa in maniera inopportuna, ma in genere preferisco ignorare tutto ciò che dice una donna che non gode di un briciolo della mia stima. Questa volta però mi sento in diritto, anzi in dovere di chiarire il mio dissenso. Non si può affermare che per troppo amore si arrivi a compiere gesti inconsulti, atti inammissibili. Non si può. Innanzitutto partiamo dal concetto che non esiste il "troppo amore", l'amore è amore, e basta, Ci sono poi persone che vivono il loro malessere, la propria inadeguatezza in modo rabbioso e trasformano questa rabbia in desiderio di possesso, gelosia estrema, ma l'amore con questa ossessione non c'entra niente. Se ami una persona, nel momento in cui temi di perderla, soffri, ma non ricorri alla violenza per punirla, mai. Alle donne che continuano a giustificare le reazioni rabbiose e violente dei propri uomini con il troppo amore, a quelle che chiamano passione la determinazione del proprio compagno ad assecondare il suo desiderio sessuale, sempre e comunque, vorrei dire di fermarsi un attimo a pensare. Per questi uomini non siete donne da amare, siete solo un pretesto, siete né più né meno di un oggetto, non per forza bello, un trofeo di scarso valore, non sempre meritevole di essere mostrato. Allontanate questi uomini, prima che sia troppo tardi. Concedetevi l'opportunità di scoprire le emozioni profonde e sane degli amori sussurrati.

P.S. Attenzione, so che la D'Urso non è una giornalista, come del resto è chiaro che non potrei mai essere io ad assegnare il premio Pulitzer.



lunedì 9 gennaio 2017

SOS EMERGENZA PAPÀ


Ti innamori, ti senti forte, più sicuro, quasi invincibile. Ami e ti rinnovi, rinasci. Ami e sei amato, sei carico di energia positiva, ti fondi con la persona amata, ti lasci andare. Dal crogiuolo di corpi e menti e anime nasce una nuova vita. Una bambina bellissima che inorgoglisce e commuove. Poi all'improvviso, o forse lentamente, crepa dopo crepa, il crogiuolo si indurisce, si spacca, si frantuma. E l'amore diventa odio, l'euforia diventa rabbia, la rabbia risentimento, tutto un susseguirsi di dispetti, di insulti, offese e urla. Alla fine non si capisce più cosa sia successo, come quel grande amore si sia trasformato in odio, rifiuto. Ma forse solo un grande amore può trasformarsi in grande rabbia, voglia di ferire, di lasciare il segno. E a volte il segno è troppo profondo, si perde la cognizione del male, la reazione è spropositata. Si arriva a causare il dolore più forte: privare un padre della propria figlia. Il colpo è violento, troppo duro. La stessa persona che un tempo ti ha donato amore, energia, vita, adesso ti svuota di tutto, ti ruba la parte migliore di te.
Conosco poco Mimmo, è un collega 'socialmente impegnato', se così lo si può definire, ma più di tutto è un uomo che desidera fortemente riabbracciare la sua bambina e che ce la sta mettendo davvero tutta perché ciò accada. Ha messo in pubblica piazza la sua condizione, ha chiesto aiuto a tutti. Ha dei legali che lo seguono, ma non ce la fa più ad aspettare: sono otto lunghissimi mesi che non ha notizie della sua bambina. 
Ha bisogno della collaborazione di tutti per arrivare a smuovere il Consolato italiano a Barcellona, per ora inerte.
Chiunque di voi possa aiutare Mimmo non esiti a contattarlo su Facebook. 

 https://www.facebook.com/profile.php?id=100008342084010



sabato 7 gennaio 2017

241. NAPUL È

Finite le feste, basta sentimentalismi, basta retorica, basta rimedi per far fronte alla malinconia, niente più cazzate!
Torniamo alla realtà, alle cose serie. Basta bufale! Lo dicono tutti, soprattutto i giornalisti, quelli pagati per farlo. Ops! E allora è allarme meningite, attenzione! I giornalisti, sempre loro, dicono che ci sono dei morti, (vero, purtroppo sì) tutti a vaccinarsi! Peccato che neanche il vaccino avrebbe potuto salvare le povere vittime. Qualcuno spiega cosa significa fare il vaccino per la meningite, i rischi e, soprattutto che non garantisce la copertura per ogni tipo di meningococco. Insomma, in poche settimane, l’allarme meningite si trasforma in psicosi, sempre a detta dei giornalisti. Da allarme a psicosi il passo è breve, giusto quanto un foglio A4 con un comunicato del Ministero della Salute.
OK, ma non basta per riempire le pagine di un quotidiano o un Telegiornale. E qui arriviamo noi napoletani, dove non si sa che fare, cosa dire, l’argomento salva tutti è Napoli. La mia amatissima e complicatissima città, sempre troppo usata. Come una bella donna che apre le braccia a tutti, in nome della tolleranza, della libertà, della magnanimità, donando amore e speranza anche a chi la disprezza.
E allora si parla della guerra, finora solo mediatica, tra il sindaco De Magistris e lo scrittore Saviano, dei loro scontri verbali e delle loro napoli. L’ho scritto volutamente in minuscolo, perché Napoli non è né quella descritta dal furbo Saviano, né quella pubblicizzata dal folkloristico sindaco. Napoli è tutta n’ata storia, direbbe Pino Daniele, è meraviglia, bellezza, arte, cultura, ma è anche disillusione, rabbia, frustrazione, Napoli è eccessiva nel bene e nel male, è passione. A Napoli i colori sono forti, le urla sono penetranti, i soprusi sono evidenti, la rabbia la si percepisce in ogni strada, soprattutto in quelle del centro. E se riusciamo ancora a viverci ed a sorridere è perché vogliamo che ad emergere sia la bellezza di questa terra, vogliamo che ad amarla siano in tanti, sempre di più, che questa passione sia contagiosa ed arrivi anche a quelli che l’hanno violentata. A Napoli c’è la Gomorra raccontata da Saviano, scrittore che ho apprezzato fino a che non è divenuto il replicante di se stesso, un inutile tuttologo, pieno di qualunquismi a servizio dei suoi editori. E c’è anche la città pubblicizzata dal sindaco arancione, che anche ho apprezzato in varie fasi della sua carriera di magistrato ed all’inizio del suo primo mandato, prima che la sua funzione si limitasse ad una réclame  antica. C’è bisogno di combattere la delinquenza ovunque, non solo a Napoli, c’è bisogno di far vincere la bellezza su tutto, non solo a Napoli, ma bisogna agire concretamente perché ciò avvenga. E se vi serve parlare di noi, parlatene pure, perché qui tutto è concesso, noi vi accoglieremo sempre con il sorriso di chi sa già dove volete andare a parare.

P.S. Pare che nell’ultimo dialogo tra De Magistris e Saviano, il sindaco abbia detto: <<Robe’, visto che si brav a smunta’ tutto l’entusiasmo ca teng, perché nun smonti pure NAlbero? Jamm bell ja!>>