martedì 20 marzo 2018

282. CIAO AMORE CIAO

Oggi Luigi Tenco avrebbe compiuto 80 anni, se in un freddo gennaio del 1967 non si fosse tolto la vita, a Sanremo, nel corso di un festival troppo nazional popolare per lui. 

« Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt'altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda Io tu e le rose in finale e ad una commissione che seleziona La rivoluzione. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi. »

Questo ciò che avrebbe scritto prima di premere il grilletto.

Mi verrebbe da scrivere: caro Luigi, ne è valsa la pena? Sapessi quanto ti saresti divertito negli anni successivi con i fiumi di parole dei Jalisse, con il grugare di Povia intento ad emulare i piccioni sui cornicioni, con la folta chioma di Scanu che ha sparso lamenti e capelli in tutti i luoghi e in tutti i laghi.
Io tu e le rose aveva versi come:
io, tu e le rose,
io, tu e l'amore;
anche se cadesse il mondo
quello stesso giorno noi
saremo là

E vabbè, effettivamente, non avevi tutti i torti, ma dopo 50 anni, sentire:

Non mi avete fatto niente
Non mi avete tolto niente
Questa è la mia vita che va avanti
Oltre tutto, oltre la gente ...

Pensi che ne sia valsa la pena, davvero? Vorresti ancora bene al pubblico italiano che premia Meta e Moro?
No, così, giusto per dire. 
L'italiano è felice con un bicchiere di vino ed un panino, ma quale esistenzialismo francese volevi esprimere? Ma per cortesia Luigi.

Quando da ragazzina ascoltavo le tue canzoni, mi intristivo, avvertivo tutto il disagio del giovane uomo, il tuo male di vivere che un po' mi infastidiva, un po' mi affascinava.
Poi, mi soffermavo sui testi scettica.

Mi sono innamorato di te
Perché
Non avevo niente da fare
Il giorno
Volevo qualcuno da incontrare
La notte
Volevo qualcosa da sognare

Mi sono innamorato di te
Perché
Non potevo più stare solo
Il giorno
Volevo parlare dei miei sogni
La notte
Parlare d'amore
...

Non capivo, mi sembrava voler ridurre l'amore ad una compagnia necessaria, ad una banale esigenza di condividere emozioni, sogni. Poi ...
...
Ed ora
Che avrei mille cose da fare
Io sento i miei sogni svanire
Ma non so più pensare
A nient'altro che a te
...

Ah ecco, adesso sì.
Un amore che sconvolge ogni programma e impegno, cancella tutto, ogni desiderio diventa desiderio dell'altro. 
Forse è questa la tua poesia.

La più bella, però, quella che mi piaceva riascoltare più volte era Vedrai vedrai:
...
Preferirei sapere che piangi
Che mi rimproveri di averti delusa
E non vederti sempre così dolce
Accettare da me tutto quello che viene
Mi fa disperare il pensiero di te
E di me che non so darti di più
...

L'amore che non rimprovera, che comprende. L'amore che non pretende.
L'amore che si basta, e che fa male per quanto è puro. Versi struggenti.

Caro Luigi, in Forse un giorno ti sposerò cantavi grato:
...
quante scene del passato questa auto ha calpestato
quanti piccoli rimorsi quanti amori persi dietro me 
quante volte emozionato son rimasto senza fiato
quante volte ho deluso quante volte qui sul muso
per una volta la vita amore mi ha regalato di più
...

Più tardi qualcuno intonava;
Ti sposerò perché sei di compagnia, tanto è vero che il mio cane ti ha già preso in simpatia.
...

E non era uno spot della Lega a difesa del cane.

Inutile aggiungere altro, credo che queste poche righe siano sufficienti, per farti capire quanto ancora avresti potuto sorprenderti su questa terra.
E poi, delusioni professionali, e scandali di scommesse sul festival a parte, a te quello che ti ha rovinato realmente è il cognome di tua madre, comprendo che non sia facile essere figlio di Zoccola.

- Perché scrivi solo cose tristi? - Ti chiesero - Rispondesti: - Perché quando sono felice esco. 

Chissà, magari adesso sei felice.




mercoledì 14 marzo 2018

281. C'E' CHI PUÒ E CHI NON PUÒ, TU NON PUÒ


Il mio post più letto è il n. 177. "DOTTOR CERÈ, DOTTOR DE CHE?", che ha ottenuto più di ottomila visualizzazioni. 
Un post sui profeti dei nostri anni: i motivatori.
Ieri mi è tornato in mente, leggendo un post su Facebook in cui Andrea (il mio compagno) ipotizzava la realizzazione di un'antologia di storie di persone che "non ce l'hanno fatta", in contrapposizione al proliferare di libri sui successi inaspettati. Insomma, basta parlare di "sfide", cominciamo a raccontare di "sfighe".
Facciamolo analizzando il percorso che abbiamo fatto per trasformarci da umili e dignitosi spettatori a pessimi attori; partendo dai danni provocati dalla psicologia spicciola, "amati e fanculo tutti quelli che non ti amano", arrivando al narcisismo dei giorni nostri, tra selfie, dictat e sentenze proclamati dalle pagine dei social, passando per le lezioni dei motivatori.
Cosa abbiamo combinato? Come ci siamo ridotti? Ma davvero siamo tutti sfigati o forse ci meritiamo quello che abbiamo? Davvero dobbiamo dimostrare di essere persone di successo? E soprattutto, chi e cosa determinano e misurano il successo?
Carica carica carica, alza alza alza, sono urla da dj anni 90, andavano bene nelle discoteche in cui ballavamo e ci sballavamo, per poche ore a settimana, mica per la vita? Il mondo non è una grande discoteca ed il motivatore non può mixare i nostri pensieri. No.
Ho deciso, voglio parlare, che in discoteca non si sente niente. Voglio ascoltare senza stordirmi, non voglio urlare o sorridere per farmi notare, voglio tenere un po' la bocca chiusa e non mostrare i denti. Voglio scaricarmi, voglio il demotivatore. Uno che abbia il coraggio di dire: lascia perdere, non è cosa per te, sei nato spettatore, non puoi salire sul palco.
Uno che ti guarda e se sorridi ti dice: ma che cazzo c'hai da ridere? Ma pensa a lavorare, a contare i soldi che hai guadagnato e a fare la vacanza nel villaggio di merda ad agosto.
Il bravo demotivatore eviterebbe delusioni, direbbe che è inutile pensare di poter dire e fare tutto, c'è chi può e chi non può, perché non è vero che bisogna provarci sempre e comunque, perché meglio non aver mai creduto di avercela fatta piuttosto che aver toccato il cielo ed essere ripiombati giù. 
Il bravo demotivatore spiegherebbe che è inutile agitarsi, nella vita conta solo la fortuna, non l'impegno, non la tenacia, non la passione. E poi, alla fine del suo corso, ci farebbe guardare Bellissima di Luchino Visconti. 
Il demotivatore è un esaltatore di personalità, è come le botte dei genitori  (in certi casi necessarie), solo dopo un corso con un bravo demotivatore si può essere liberi di piangere, ridere, di scegliere di provare, o restare fermi.
Che poi in discoteca il tipo fermo ha sempre acchiappato più di tutti.