sabato 28 giugno 2014

109. LA BELLEZZA


Guardate ed ascoltate prima di leggere ...

http://youtu.be/rmD6jAt8qAo


Ho già trattato questo argomento, ma in maniera superficiale, come si pensa sia chi  alla bellezza dà molta importanza. Non è la mia idea. Non credo che gli amanti della bellezza siano superficiali, perché non lo è la bellezza, nella sua più completa accezione. Avete ascoltato le parole che Marco Tullio Giordana ha fatto pronunciare a Lo Cascio/Impastato? L'amore per la bellezza è importante, parte tutto da lì. Se le persone si ricordassero di come erano belli alcuni luoghi, alcuni paesaggi naturali, prima che l'edilizia abusiva li violentasse. Se ci ricordassimo di quanto è bello un testo scritto in perfetto italiano, di quanto sono belli i libri nelle biblioteche. Se ci fermassimo ad osservare un quadro di Dalì, una foto di Sergio Larrain o Bill Brandt, se in viaggio stessimo in silenzio a guardare tutto ciò che ci circonda. Se alzassimo più spesso la testa dai nostri smartphone. Abbiamo bisogno di essere educati al bello, dobbiamo imparare a pretendere il bello. A partire dalle bocche, dai nasi e dai seni rifatti che deturpano il corpo di sempre più donne, passando per la volgarità delle urla in tivù e di una comicità da bagaglino misera e incolta. Per arrivare alla bruttezza delle bugie dei politici, dell'arroganza celata da perbenismo idiota, alla cattiveria del buonista. Coltiviamo il bello, in ogni sua espressione. Nella meraviglia di un bambino davanti al mare, nella cura per l'estetica, dolce e mai aggressiva, nel fascino delle rughe di un volto che ha vissuto, nella gentilezza di un gesto d'amore gratuito, nei colori di un dipinto, nelle linee che fanno da contorno a una fotografia. Il bello di una melodia rilassante o di un ballo scatenato e liberatorio. Da piccoli distinguiamo gli oggetti, le persone, le emozioni, i sapori, in 'bello' e 'brutto', se continuassimo a farlo, con naturalezza e spontaneità, senza cedere alle lusinghe di chi intende manovrarci, saremmo più liberi e forse il mondo sarebbe più bello.

giovedì 19 giugno 2014

108. IL MALE DEL SECOLO

Qualcuno potrebbe rispondere che di mali in questo secolo ce ne sono tanti, altri potrebbero essere incuriositi dalla mia opinione, ma la maggior parte penserà, o meglio, non penserà, ed eviterà di leggere il post. Ecco, questo è il male del secolo: la superficialità. Si è superficiali nel dispensare giudizi sulle persone, senza pensare alle conseguenze che questo tipo di comportamento può generare: dire male di una persona, solo per aver avuto una percezione, che potrebbe essere sbagliata, insinua il dubbio negli altri che, ignorando i fatti, resteranno con una riserva mentale dalla quale difficilmente si libereranno, e a quella persona oggetto di critiche assoceranno sempre un'idea di fastidio e di disprezzo. Si è superficiali nell'uso indiscriminato dell'espressione "ti voglio bene", ignorando che volere il bene di una persona significa agire nel suo interesse, anche senza dirlo, ma evitando di entrare in competizione, di sottrarle le attenzioni di cui ha bisogno, di usarla per raggiungere i propri scopi. Si è superficiali nel lavoro: la mancanza di professionalità danneggia chi usufruisce del cattivo servizio, ma soprattutto i colleghi che devono rimediare agli errori ed alle inadempienze degli altri. Si è superficiali nel parlare, perché forse lo si fa troppo, con troppe persone e non si dà il giusto peso alle parole. Si è superficiali nello scrivere, e lasciatemelo dire, da questo tipo di superficialità si può capire molto delle persone. Sono una grande osservatrice, è noto, osservo la natura, i suoi colori, la sue forme e tutto ciò che quotidianamente trasforma queste immagini in un inconsapevole scenario. Osservo la recita di ciascun attore, il modo di interpretare, i volti, le espressioni del corpo e cerco di capire alcune correlazioni. A volte assisto ad eventi apparentemente inspiegabili, ma finisco per credere che nulla sia casuale. Nell'era del virtuale, dove l'apparire ha assunto sempre maggiore importanza, si può camuffare un corpo brutto, un volto inespressivo, si può falsare un'immagine, ma non si può bleffare sulla forma delle parole. Avevo solo otto anni quando la mia maestra, in terza elementare, mi costrinse a riempire cinque paginette con la parola "fa", perché avevo commesso l'errore di scriverla con l'accento. Lo so, se andiamo a leggere qualche post su FB, altro che cinque paginette, è un errore così frequente che non basterebbero quaderni interi. Qualche mese fa, una mia cara, stimatissima amica, aveva cominciato a disquisire sulla sua bacheca di FB sugli errori di grammatica italiana più diffusi in rete, ma dopo i primi tre post, deve aver perso parecchi "amici" ed ha dovuto smettere. Capisco che mettere la "k" al posto di "ch" risulta figo, ma al posto della "c", è inguardabile, oltre che inutile (alcun risparmio di tempo e di spazio). Per non parlare dell'accento, anziché l'apostrofo, utilizzato su po' e su di' (per indicare l'elisione di poco e di dici). Accenti ed apostrofi sul web sono inflazionatissimi, d'accordo che non si pagano, ma perché continuare a scrivere "un'amico" se un resta un articolo tutto d'un pezzo, e non deve e non può essere troncato? Inoltre, un'amica è un'amica e potrebbe non esserlo più se continui a dirle che è "un amica". Lo so che questo più che mai è un post impopolare, ma credetemi, è quello che ci vuole: un po' di impopolarità. Non si può e non si deve piacere a tutti! Si fa a gara a scrivere ed a dire quello che tutti vorrebbero leggere o sentire, a ricevere l'approvazione della maggioranza, ad apparire molto amati, come se questo fosse sufficiente per essere accreditati tra i "giusti". Basterebbe invece rileggersi un po' la storia per scoprire che spesso i riconoscimenti arrivano molto, troppo tardi, e il consenso della maggioranza, la popolarità, non è sempre sinonimo di legittimità. Insomma, cantava De Gregori, la storia dà torto e dà ragione, e non "da'" attenuanti. E poi, "perchè e finchè" se sei meridionale, come attenuante non ha neanche la pronuncia. E se ad un appuntamento dici: <Avevo un pensiero per te, ma l'ho rimasto a casa, te lo do la prossima volta>, sappi che non ci sarà una prossima volta. Sono convinta che se cominciassimo ad essere meno superficiali dalle scuole, non consentendo ad una maestra di poter dire "lo scatolo", non promuovendo un bambino che in quinta elementare scrive "vado ha casa"; se iniziassimo ad essere più attenti a cosa e soprattutto a "come" lo si scrive, potremmo vivere meglio, potremmo anche giustificare chi ignora il congiuntivo evitando di scrivere "sappiate ke il congiuntivo non é una malattia degli okki", ma capire che le regole esistono e vanno rispettate, a partire dalle piccole azioni quotidiane. Deve esistere un limite entro il quale poter esprimere la propria libertà, è necessario rispettare tutti e non giudicare gli altri prima di aver giudicato se stessi. Che senso ha bacchettare chi usa il verbo "fare" ed il sostantivo "cosa" come jolly, se poi si scrive che l'autore non è colto perché è la "IVa" volta che utilizza la parola cosa. Insomma, sbagliare si può, ma perseverare è italiano.

sabato 14 giugno 2014

107. UN GIORNALISTA


Oggi non parlo io, lascio che lo faccia Pietro Treccagnoli, autorevole firma del giornalismo italiano, ma soprattutto napoletano, perché, nonostante tutto ha deciso di restare qui nella mia, nella nostra contraddittoria città, e, sorprendentemente, scrive sul quotidiano 'IL MATTINO'. Un uomo ostinato, quindi. Leggete oggi cosa ha scritto, meravigliosa fotografia di una realtà napoletana che pochi hanno il coraggio di raccontare. Buona lettura!

LO SPACCIO NELLA NAPOLI BENE - La cocaina, i quarantenni e la città
Pietro Treccagnoli
14-Giugno-2014
«So' belli i trenini delle feste, so' belli perché non vanno da nessuna parte»: la jepitude, la rassegnata inconcludenza di Jep Gambardella della «Grande Bellezza», a Napoli ha sempre trovato la sua terra d'elezione, in una certa Napoli dove le abitudini e le presunzioni del generone romano si riducono ai balbettii afasici del generino vesuviano, in un trenino che non ha mete e stazioni, in un calice di vino bevuto davanti ai baretti di Chiaia fingendo di capirne e carpirne sapori e umori, in una sniffata nel weekend sull'attico di Posillipo con vista sul Golfo o sulla barca che veleggia verso la casa di papà a Ischia, a Capri o a Procida. Una chiorma di sfaccendati, quarantenni e cinquantenni benestanti, che dal proprio benessere hanno ricavato solo quell'estasi vaga della cocaina, quella caduca volontà di potenza che si ammoscia, come il trenino delle feste, in un samba spompato. Queste ultime reclute di una generazione sgonfiata più che fallita, finita ammanettata dai carabinieri perché truppa di complemento dei pusher della Gomorra più cialtrona, questi rampolli della borghesia chiusi nelle loro case superaccessoriate come in una dependance dell'edonismo reaganiano fuori tempo massimo, questi prigionieri dell'eterno presente non si sono neanche accorti che la cocaina, in un mercato spacciato con i prezzi a picco, era diventata «out», roba da straccioni, questi Peter Pan con la mangiatoia bassa sono rimasti aggrappati a un sogno che è diventato un bisogno, inconsapevoli che la loro trasgressione si era ormai rattrappita in una farsa, in un urlo afono contro un padre che si era arreso da decenni. Ma forse scomodare la psicologia è troppo, solo un esercizio retorico. È tutto più facile e meschino. Sul palcoscenico si esibisce la medesima, eterna, napoletanissima classe digerente degli anni Sessanta che non si è mai estinta. Invece di aprire la bocca per ingoiare, ora allarga le narici per sniffare. Sulla ricchezza ricevuta senza meriti e senza qualità ha intessuto una fragilità morale e politica, facendone la propria coccarda di fatua borghesia, priva di una coscienza di classe e svuotata da una classe della coscienza. A che cosa ha portato questo smarrimento in un eterno personalissimo presente, lontano dal presente comune? A doversi sempre aggrappare, nella vita come nella società, a un papa straniero, fosse pure il camorrista che gli procura la dose o lo coinvolge nello spaccio domestico, endogeno. Sono feriti a morte senza aver combattuto la più insipida delle battaglie, foss'anche la bella giornata dei Massimo, dei Ninì e dei Sasà del romanzo di Raffaele La Capria. Quartieri alti e Quartieri Spagnoli, una Napoli che sui due lati della moneta ha una sola faccia, più croce che testa. E la città, la vita politica della città, paga il prezzo di questa intelligenza con il nemico da parte di chi, come ceto affluente e influente, dovrebbe contribuire più attivamente degli altri a costruire il senso civile e pensare al bene comune, oltre che al proprio. A Napoli, da tempo, è difficile distinguere il figlio di un ricco professionista da quello di un camorrista. Frequentano gli stessi locali, si pavoneggiano negli stessi abiti e nei medesimi tatuaggi, guidano le stesse auto, condividono le stesse voluttà, compiono gli stessi abusi, parlano la stessa lingua, hanno gli stessi idoli. E commettono gli stessi reati. La retata dei carabinieri li ha rinchiusi nelle stesse celle. Il trenino da qualche parte doveva portarli. 

mercoledì 11 giugno 2014

106. FUORI DAL RIFUGIO


Amore
Quanto vorremmo parlare di amore? Quanto ci piace leggerlo, raccontarlo, viverlo! Storie d'amore, di passioni, di separazioni e di ritrovamenti, di amori impossibili e di attese interminabili, di finti innamorati e di amanti predestinati. Storie di amori che nascono in sordina, senza pretese, che vivono solo di presente e che durano una vita. Storie di amori che hanno momenti e luoghi avversi, amori ostinati, forti quanto un dolore. Amori fasulli, ingannatori. Amori fatti solo di sesso e di risate, che nessuno chiamerebbe amore. Siamo tutti amanti dell'amore, tutti intenti a capire l'incomprensibile, a cercare l'introvabile, ad aspettare che accada l'imprevedibile! Certo non pensava a classificare la sua storia Anna, quando lui la lasciò, sentiva solo un grande dolore dentro, una sensazione di svuotamento. Marco aveva portato via con sé qualche valigia, un mare di emozioni, di ricordi e di rassicurante complicità. Perché se n'era andato? Come aveva potuto essere così duro, così freddo, così razionale? Come aveva potuto restare insensibile alla sua sofferenza, al suo pianto? Adesso Anna era triste, ma anche arrabbiata. Nei primi giorni dell'abbandono non riusciva neanche a camminare bene, come un puledro appena sbucato dal corpo della cavalla madre. Respirava a fatica, sentiva di dover impegnarsi tanto per fare cose che fino a quel momento erano stati automatismi, semplici, trascurabili gesti quotidiani. Come poteva essere accaduto? Quale evento, quale insospettabile avvenimento aveva dato a Marco la forza di andar via, di dirle addio? Quale forza ignota gli aveva indurito il cuore? O forse non c'era nessun evento, forse non c'era più niente tra loro, non c'era più amore, passione, complicità, non c'era più la voglia di vivere assieme ogni momento, di raccontarsi le ore della giornata vissute singolarmente, non c'era più la voglia e l'esigenza di rifugiarsi l'uno nell'altro. Forse era proprio questo il punto: Marco si era accorto che per troppo tempo Anna si era rifugiata in lui, perdendo a poco a poco il fascino della donna sicura che lo aveva fatto innamorare. Erano trascorsi oramai tanti giorni da quando lui se ne era andato, Anna non aveva più voglia di piangere e di trascinare il suo corpo per casa, non aveva più voglia di nascondere il suo dolore ai colleghi, agli amici, si spogliò lentamente lasciando cadere i suoi vestiti a terra, si diresse verso il bagno e fece la doccia più lunga della sua vita! Si toccò quel corpo non più giovanissimo, morbido e sinuoso. Scoprì che aveva una bella pelle liscia, delle belle gambe toniche, una naturale, leggera curva sul ventre, un seno generoso ed un volto dai lineamenti decisi, non banali. I suoi lunghi capelli bagnati le sembrarono più lisci e morbidi di un velluto prezioso. Le sue labbra pronte per esplorare nuovi luoghi. Uscì dalla doccia e guardandosi allo specchio si sorprese sorridente. Il puledro era pronto per cavalcare libero, solo, con sguardo fiero e con l'eleganza di un corpo padrone di ogni singola parte di sé, consapevole della propria unicità.


domenica 8 giugno 2014

105. SCOPRI COME


Questa donna ha perso 20 chili, scopri come.
Quest'uomo ha guadagnato 30.000 Euro in un mese, scopri come.
Questa persona ha sconfitto la depressione, scopri come.
Questo ragazzo ha vinto tutte le scommesse, scopri come.
Questa donna ha 60 anni e neanche una ruga, scopri come. 
E mentre noi, pagando, scopriamo come sia impossibile dimagrire evitando di digiunare, guadagnare evitando di lavorare, ci deprimiamo, poveri e grassi. Allora via con i palliativi.
Messaggi per aquile che si sentono polli (De Mello); segreti per ritrovare la serenità (Coelho); detti e proverbi, meglio se napoletani, e per i più romantici, libri e canzoni d'amore. Impieghiamo  ore, giorni, mesi, una vita intera, per trovare la ricetta della felicità, spendiamo parole e denaro per scoprire poi, alla fine di tutto, che ci basterebbe fermarci un attimo a pensare ciò di cui realmente abbiamo bisogno, senza messaggi banali e vane profezie. Basterebbe non farci distrarre e pensare alle reali esigenze, ai nostri reali obiettivi! 
Insomma, se si è donne, andare a comprarsi scarpe e borse nuove, se si è uomo, cliccare sull'unico link utile 'youporn'. Ahaaah,  e diciamolo!