sabato 26 marzo 2016

194. LA PAZIENTIERA

Nessuna ambizione letteraria, nessun riflesso petaloso (che ovviamente il correttore di Word sottolinea in rosso), solo un neologismo estemporaneo per riassumere l'essenza della Pasqua partenopea. Pazientiera è la fusione di due termini: pazienza e pastiera, ma è anche un modo per indicare colei che educa alla pazienza. A Napoli si dice spesso "Ce vo' pacienz", e a furia di dirlo, forse si è lasciato correre un po' troppo, si è tollerato troppo, e qualcuno ha confuso quest'arte della comprensione con pigrizia e nullafacenza, con una apparente assuefazione. La pazienza è un'arte, ed ora più che mai è necessario coltivarla. Ora che ci vengono proposte immagini di stragi in tutte le salse, con i commenti più inutili e banali che neanche un bambino accetta. La retorica la fa da padrona ed intanto la gente muore, ed a noi non importa più di tanto, perché fino a quando non ci colpiscono un familiare, non capiremo mai il dramma di un attentato, la violenza e l'assurdità del terrorismo. Troppa superficialità, troppo disinteresse, troppi angoli del mondo relegati a ghetti, perché così conviene, non ci si può fermare a pensare, a commuoversi, ad immedesimarsi, a ragionare. Bisogna andare avanti a parlare d'altro, per non fermare il consumo del superfluo, la giostra dell'illusione, la vanità dei potenti. Ce vo' pacienz! Eh sì, ce ne vuole tanta! E allora, noi napoletani in questo siamo maestri, confidiamo sempre in un destino giusto o forse "giustiziere", e nel frattempo coltiviamo l'arte dell'attesa, della pazienza. Lo facciamo quando guidiamo, quando ci rivolgiamo ad un ufficio pubblico, quando siamo in fila alla posta, quando facciamo la spesa e quando cuciniamo. L'ho detto più volte e lo affermo sempre con maggior vigore: cucinare è terapeutico! Impegnarsi nella preparazione di una pietanza fa bene alla mente prima che al palato, ed è soprattutto un gesto d'amore. In questi giorni, in particolar modo, per le strade di Napoli c'è un profumo di pastiera più potente del canto delle sirene della maga Circe. La pastiera è un dolce sul quale si potrebbe stare a disquisire per ore, perché ne esistono numerose varianti. Per non parlare di quelle che hanno subito il "contagio" di tradizioni periferiche (aggiunta di crema, cioccolata e via dicendo), se solo mi limito a prendere in considerazione il dolce base, quello della reale tradizione partenopea, tramandatami dalla famiglia, soprattutto lato paterno, posso elencare quattro, cinque varianti.
Partendo dagli ingredienti base: ricotta, uova, grano, latte, burro, essenza di millefiori e canditi, si possono produrre risultati diversi in base al procedimento e soprattutto alla cottura.
A casa mia se ne preparano tre tipi:
tradizionale senza canditi, con i canditi ed il grano passato, con pochi canditi ed il grano passato per metà.
Passare il grano comporta una maggiore densità e compattezza della pastiera, che la rendono più cremosa.
Ma al di là del procedimento, quello che è determinante è la modalità di cottura.
Per un buon risultato occorre avere molta pazienza: il prodotto migliore si ottiene cuocendo la pastiera per almeno 2 ore a temperatura costante, intorno ai 160 / 170 gradi, in maniera tale che l'interno resti umido e la pasta frolla esterna non si indurisca troppo. Questo vale per un tegame non molto alto e di 22/24 cm di diametro.
È importante anche l'uso delle essenze. Tra gli amanti della pastiera ci sono, infatti, quelli che amano il gusto dell'acqua di millefiori, come se l'intensità del profumo potesse annientare tutto il cibo che si è ingurgitato durante il pranzo pasquale, una specie di oblio dei sapori e dei sensi di colpa. 

P.S. Questo post è stato scritto sotto l'effetto del profumo della mia seconda pastiera (quella con i canditi ed il grano passato per metà), perché per aspettare di infornare la terza, ce vo' pacienza ...
Buona Pasqua a tutti!




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