sabato 28 giugno 2014

109. LA BELLEZZA


Guardate ed ascoltate prima di leggere ...

http://youtu.be/rmD6jAt8qAo


Ho già trattato questo argomento, ma in maniera superficiale, come si pensa sia chi  alla bellezza dà molta importanza. Non è la mia idea. Non credo che gli amanti della bellezza siano superficiali, perché non lo è la bellezza, nella sua più completa accezione. Avete ascoltato le parole che Marco Tullio Giordana ha fatto pronunciare a Lo Cascio/Impastato? L'amore per la bellezza è importante, parte tutto da lì. Se le persone si ricordassero di come erano belli alcuni luoghi, alcuni paesaggi naturali, prima che l'edilizia abusiva li violentasse. Se ci ricordassimo di quanto è bello un testo scritto in perfetto italiano, di quanto sono belli i libri nelle biblioteche. Se ci fermassimo ad osservare un quadro di Dalì, una foto di Sergio Larrain o Bill Brandt, se in viaggio stessimo in silenzio a guardare tutto ciò che ci circonda. Se alzassimo più spesso la testa dai nostri smartphone. Abbiamo bisogno di essere educati al bello, dobbiamo imparare a pretendere il bello. A partire dalle bocche, dai nasi e dai seni rifatti che deturpano il corpo di sempre più donne, passando per la volgarità delle urla in tivù e di una comicità da bagaglino misera e incolta. Per arrivare alla bruttezza delle bugie dei politici, dell'arroganza celata da perbenismo idiota, alla cattiveria del buonista. Coltiviamo il bello, in ogni sua espressione. Nella meraviglia di un bambino davanti al mare, nella cura per l'estetica, dolce e mai aggressiva, nel fascino delle rughe di un volto che ha vissuto, nella gentilezza di un gesto d'amore gratuito, nei colori di un dipinto, nelle linee che fanno da contorno a una fotografia. Il bello di una melodia rilassante o di un ballo scatenato e liberatorio. Da piccoli distinguiamo gli oggetti, le persone, le emozioni, i sapori, in 'bello' e 'brutto', se continuassimo a farlo, con naturalezza e spontaneità, senza cedere alle lusinghe di chi intende manovrarci, saremmo più liberi e forse il mondo sarebbe più bello.

giovedì 19 giugno 2014

108. IL MALE DEL SECOLO

Qualcuno potrebbe rispondere che di mali in questo secolo ce ne sono tanti, altri potrebbero essere incuriositi dalla mia opinione, ma la maggior parte penserà, o meglio, non penserà, ed eviterà di leggere il post. Ecco, questo è il male del secolo: la superficialità. Si è superficiali nel dispensare giudizi sulle persone, senza pensare alle conseguenze che questo tipo di comportamento può generare: dire male di una persona, solo per aver avuto una percezione, che potrebbe essere sbagliata, insinua il dubbio negli altri che, ignorando i fatti, resteranno con una riserva mentale dalla quale difficilmente si libereranno, e a quella persona oggetto di critiche assoceranno sempre un'idea di fastidio e di disprezzo. Si è superficiali nell'uso indiscriminato dell'espressione "ti voglio bene", ignorando che volere il bene di una persona significa agire nel suo interesse, anche senza dirlo, ma evitando di entrare in competizione, di sottrarle le attenzioni di cui ha bisogno, di usarla per raggiungere i propri scopi. Si è superficiali nel lavoro: la mancanza di professionalità danneggia chi usufruisce del cattivo servizio, ma soprattutto i colleghi che devono rimediare agli errori ed alle inadempienze degli altri. Si è superficiali nel parlare, perché forse lo si fa troppo, con troppe persone e non si dà il giusto peso alle parole. Si è superficiali nello scrivere, e lasciatemelo dire, da questo tipo di superficialità si può capire molto delle persone. Sono una grande osservatrice, è noto, osservo la natura, i suoi colori, la sue forme e tutto ciò che quotidianamente trasforma queste immagini in un inconsapevole scenario. Osservo la recita di ciascun attore, il modo di interpretare, i volti, le espressioni del corpo e cerco di capire alcune correlazioni. A volte assisto ad eventi apparentemente inspiegabili, ma finisco per credere che nulla sia casuale. Nell'era del virtuale, dove l'apparire ha assunto sempre maggiore importanza, si può camuffare un corpo brutto, un volto inespressivo, si può falsare un'immagine, ma non si può bleffare sulla forma delle parole. Avevo solo otto anni quando la mia maestra, in terza elementare, mi costrinse a riempire cinque paginette con la parola "fa", perché avevo commesso l'errore di scriverla con l'accento. Lo so, se andiamo a leggere qualche post su FB, altro che cinque paginette, è un errore così frequente che non basterebbero quaderni interi. Qualche mese fa, una mia cara, stimatissima amica, aveva cominciato a disquisire sulla sua bacheca di FB sugli errori di grammatica italiana più diffusi in rete, ma dopo i primi tre post, deve aver perso parecchi "amici" ed ha dovuto smettere. Capisco che mettere la "k" al posto di "ch" risulta figo, ma al posto della "c", è inguardabile, oltre che inutile (alcun risparmio di tempo e di spazio). Per non parlare dell'accento, anziché l'apostrofo, utilizzato su po' e su di' (per indicare l'elisione di poco e di dici). Accenti ed apostrofi sul web sono inflazionatissimi, d'accordo che non si pagano, ma perché continuare a scrivere "un'amico" se un resta un articolo tutto d'un pezzo, e non deve e non può essere troncato? Inoltre, un'amica è un'amica e potrebbe non esserlo più se continui a dirle che è "un amica". Lo so che questo più che mai è un post impopolare, ma credetemi, è quello che ci vuole: un po' di impopolarità. Non si può e non si deve piacere a tutti! Si fa a gara a scrivere ed a dire quello che tutti vorrebbero leggere o sentire, a ricevere l'approvazione della maggioranza, ad apparire molto amati, come se questo fosse sufficiente per essere accreditati tra i "giusti". Basterebbe invece rileggersi un po' la storia per scoprire che spesso i riconoscimenti arrivano molto, troppo tardi, e il consenso della maggioranza, la popolarità, non è sempre sinonimo di legittimità. Insomma, cantava De Gregori, la storia dà torto e dà ragione, e non "da'" attenuanti. E poi, "perchè e finchè" se sei meridionale, come attenuante non ha neanche la pronuncia. E se ad un appuntamento dici: <Avevo un pensiero per te, ma l'ho rimasto a casa, te lo do la prossima volta>, sappi che non ci sarà una prossima volta. Sono convinta che se cominciassimo ad essere meno superficiali dalle scuole, non consentendo ad una maestra di poter dire "lo scatolo", non promuovendo un bambino che in quinta elementare scrive "vado ha casa"; se iniziassimo ad essere più attenti a cosa e soprattutto a "come" lo si scrive, potremmo vivere meglio, potremmo anche giustificare chi ignora il congiuntivo evitando di scrivere "sappiate ke il congiuntivo non é una malattia degli okki", ma capire che le regole esistono e vanno rispettate, a partire dalle piccole azioni quotidiane. Deve esistere un limite entro il quale poter esprimere la propria libertà, è necessario rispettare tutti e non giudicare gli altri prima di aver giudicato se stessi. Che senso ha bacchettare chi usa il verbo "fare" ed il sostantivo "cosa" come jolly, se poi si scrive che l'autore non è colto perché è la "IVa" volta che utilizza la parola cosa. Insomma, sbagliare si può, ma perseverare è italiano.

sabato 14 giugno 2014

107. UN GIORNALISTA


Oggi non parlo io, lascio che lo faccia Pietro Treccagnoli, autorevole firma del giornalismo italiano, ma soprattutto napoletano, perché, nonostante tutto ha deciso di restare qui nella mia, nella nostra contraddittoria città, e, sorprendentemente, scrive sul quotidiano 'IL MATTINO'. Un uomo ostinato, quindi. Leggete oggi cosa ha scritto, meravigliosa fotografia di una realtà napoletana che pochi hanno il coraggio di raccontare. Buona lettura!

LO SPACCIO NELLA NAPOLI BENE - La cocaina, i quarantenni e la città
Pietro Treccagnoli
14-Giugno-2014
«So' belli i trenini delle feste, so' belli perché non vanno da nessuna parte»: la jepitude, la rassegnata inconcludenza di Jep Gambardella della «Grande Bellezza», a Napoli ha sempre trovato la sua terra d'elezione, in una certa Napoli dove le abitudini e le presunzioni del generone romano si riducono ai balbettii afasici del generino vesuviano, in un trenino che non ha mete e stazioni, in un calice di vino bevuto davanti ai baretti di Chiaia fingendo di capirne e carpirne sapori e umori, in una sniffata nel weekend sull'attico di Posillipo con vista sul Golfo o sulla barca che veleggia verso la casa di papà a Ischia, a Capri o a Procida. Una chiorma di sfaccendati, quarantenni e cinquantenni benestanti, che dal proprio benessere hanno ricavato solo quell'estasi vaga della cocaina, quella caduca volontà di potenza che si ammoscia, come il trenino delle feste, in un samba spompato. Queste ultime reclute di una generazione sgonfiata più che fallita, finita ammanettata dai carabinieri perché truppa di complemento dei pusher della Gomorra più cialtrona, questi rampolli della borghesia chiusi nelle loro case superaccessoriate come in una dependance dell'edonismo reaganiano fuori tempo massimo, questi prigionieri dell'eterno presente non si sono neanche accorti che la cocaina, in un mercato spacciato con i prezzi a picco, era diventata «out», roba da straccioni, questi Peter Pan con la mangiatoia bassa sono rimasti aggrappati a un sogno che è diventato un bisogno, inconsapevoli che la loro trasgressione si era ormai rattrappita in una farsa, in un urlo afono contro un padre che si era arreso da decenni. Ma forse scomodare la psicologia è troppo, solo un esercizio retorico. È tutto più facile e meschino. Sul palcoscenico si esibisce la medesima, eterna, napoletanissima classe digerente degli anni Sessanta che non si è mai estinta. Invece di aprire la bocca per ingoiare, ora allarga le narici per sniffare. Sulla ricchezza ricevuta senza meriti e senza qualità ha intessuto una fragilità morale e politica, facendone la propria coccarda di fatua borghesia, priva di una coscienza di classe e svuotata da una classe della coscienza. A che cosa ha portato questo smarrimento in un eterno personalissimo presente, lontano dal presente comune? A doversi sempre aggrappare, nella vita come nella società, a un papa straniero, fosse pure il camorrista che gli procura la dose o lo coinvolge nello spaccio domestico, endogeno. Sono feriti a morte senza aver combattuto la più insipida delle battaglie, foss'anche la bella giornata dei Massimo, dei Ninì e dei Sasà del romanzo di Raffaele La Capria. Quartieri alti e Quartieri Spagnoli, una Napoli che sui due lati della moneta ha una sola faccia, più croce che testa. E la città, la vita politica della città, paga il prezzo di questa intelligenza con il nemico da parte di chi, come ceto affluente e influente, dovrebbe contribuire più attivamente degli altri a costruire il senso civile e pensare al bene comune, oltre che al proprio. A Napoli, da tempo, è difficile distinguere il figlio di un ricco professionista da quello di un camorrista. Frequentano gli stessi locali, si pavoneggiano negli stessi abiti e nei medesimi tatuaggi, guidano le stesse auto, condividono le stesse voluttà, compiono gli stessi abusi, parlano la stessa lingua, hanno gli stessi idoli. E commettono gli stessi reati. La retata dei carabinieri li ha rinchiusi nelle stesse celle. Il trenino da qualche parte doveva portarli. 

mercoledì 11 giugno 2014

106. FUORI DAL RIFUGIO


Amore
Quanto vorremmo parlare di amore? Quanto ci piace leggerlo, raccontarlo, viverlo! Storie d'amore, di passioni, di separazioni e di ritrovamenti, di amori impossibili e di attese interminabili, di finti innamorati e di amanti predestinati. Storie di amori che nascono in sordina, senza pretese, che vivono solo di presente e che durano una vita. Storie di amori che hanno momenti e luoghi avversi, amori ostinati, forti quanto un dolore. Amori fasulli, ingannatori. Amori fatti solo di sesso e di risate, che nessuno chiamerebbe amore. Siamo tutti amanti dell'amore, tutti intenti a capire l'incomprensibile, a cercare l'introvabile, ad aspettare che accada l'imprevedibile! Certo non pensava a classificare la sua storia Anna, quando lui la lasciò, sentiva solo un grande dolore dentro, una sensazione di svuotamento. Marco aveva portato via con sé qualche valigia, un mare di emozioni, di ricordi e di rassicurante complicità. Perché se n'era andato? Come aveva potuto essere così duro, così freddo, così razionale? Come aveva potuto restare insensibile alla sua sofferenza, al suo pianto? Adesso Anna era triste, ma anche arrabbiata. Nei primi giorni dell'abbandono non riusciva neanche a camminare bene, come un puledro appena sbucato dal corpo della cavalla madre. Respirava a fatica, sentiva di dover impegnarsi tanto per fare cose che fino a quel momento erano stati automatismi, semplici, trascurabili gesti quotidiani. Come poteva essere accaduto? Quale evento, quale insospettabile avvenimento aveva dato a Marco la forza di andar via, di dirle addio? Quale forza ignota gli aveva indurito il cuore? O forse non c'era nessun evento, forse non c'era più niente tra loro, non c'era più amore, passione, complicità, non c'era più la voglia di vivere assieme ogni momento, di raccontarsi le ore della giornata vissute singolarmente, non c'era più la voglia e l'esigenza di rifugiarsi l'uno nell'altro. Forse era proprio questo il punto: Marco si era accorto che per troppo tempo Anna si era rifugiata in lui, perdendo a poco a poco il fascino della donna sicura che lo aveva fatto innamorare. Erano trascorsi oramai tanti giorni da quando lui se ne era andato, Anna non aveva più voglia di piangere e di trascinare il suo corpo per casa, non aveva più voglia di nascondere il suo dolore ai colleghi, agli amici, si spogliò lentamente lasciando cadere i suoi vestiti a terra, si diresse verso il bagno e fece la doccia più lunga della sua vita! Si toccò quel corpo non più giovanissimo, morbido e sinuoso. Scoprì che aveva una bella pelle liscia, delle belle gambe toniche, una naturale, leggera curva sul ventre, un seno generoso ed un volto dai lineamenti decisi, non banali. I suoi lunghi capelli bagnati le sembrarono più lisci e morbidi di un velluto prezioso. Le sue labbra pronte per esplorare nuovi luoghi. Uscì dalla doccia e guardandosi allo specchio si sorprese sorridente. Il puledro era pronto per cavalcare libero, solo, con sguardo fiero e con l'eleganza di un corpo padrone di ogni singola parte di sé, consapevole della propria unicità.


domenica 8 giugno 2014

105. SCOPRI COME


Questa donna ha perso 20 chili, scopri come.
Quest'uomo ha guadagnato 30.000 Euro in un mese, scopri come.
Questa persona ha sconfitto la depressione, scopri come.
Questo ragazzo ha vinto tutte le scommesse, scopri come.
Questa donna ha 60 anni e neanche una ruga, scopri come. 
E mentre noi, pagando, scopriamo come sia impossibile dimagrire evitando di digiunare, guadagnare evitando di lavorare, ci deprimiamo, poveri e grassi. Allora via con i palliativi.
Messaggi per aquile che si sentono polli (De Mello); segreti per ritrovare la serenità (Coelho); detti e proverbi, meglio se napoletani, e per i più romantici, libri e canzoni d'amore. Impieghiamo  ore, giorni, mesi, una vita intera, per trovare la ricetta della felicità, spendiamo parole e denaro per scoprire poi, alla fine di tutto, che ci basterebbe fermarci un attimo a pensare ciò di cui realmente abbiamo bisogno, senza messaggi banali e vane profezie. Basterebbe non farci distrarre e pensare alle reali esigenze, ai nostri reali obiettivi! 
Insomma, se si è donne, andare a comprarsi scarpe e borse nuove, se si è uomo, cliccare sull'unico link utile 'youporn'. Ahaaah,  e diciamolo!

venerdì 30 maggio 2014

104. FINALMENTE LA SVEGLIA


La sveglia suonò come ogni mattina alle sei e trenta, Claudia ne fu contenta: finalmente era terminata la notte, poteva alzarsi da quel letto. Erano già tre ore che era sveglia, si era girata e rigirata più volte provando a riaddormentarsi, ma senza riuscirci. Quelle tre ore le erano sembrate interminabili, da quel letto avrebbe voluto scappare, quel letto dove oramai da dieci anni si coricava assieme a Paolo. Lo stesso letto che li aveva accolti giovani e innamorati, gioiosi e appassionati, e che adesso non li riconosceva più. Sembrava che il materasso li volesse obbligare a stare vicini, imponendo le consuete posizioni, sembrava che le lenzuola fossero divenute troppo strette e non consentissero di allontanarsi più di tanto l'uno dall'altra, in quel letto Claudia si sentiva trattenuta da una forza oscura ed opprimente. -Vado a fare il caffè- aveva detto a Paolo che ancora dormiva, lasciando la loro stanza. In realtà non è che Claudia sentisse di non amare più Paolo, ma da qualche giorno, anzi a dir meglio da qualche settimana, aveva nella mente degli strani pensieri, parole che non riusciva a dimenticare. Tutto era cominciato da quella sera in cui era andata, assieme a Paolo e ad altri amici, in un locale dove si suona, quelli che si è soliti chiamare disco pub. Il locale non era molto grande e il loro tavolo era abbastanza vicino al palchetto destinato ai musicisti, Claudia, come di consueto, aveva scelto un posto con le spalle al muro che le desse la possibilità di avere un'ampia panoramica sul locale ed i suoi clienti. Poco dopo il loro ingresso, i tre musicisti avevano cominciato ad esibirsi. Da prima Claudia non si era mostrata particolarmente attenta all'ascolto, continuava a parlare con i suoi amici, ma all'improvviso si era accorta che stava urlando, che per riuscire a farsi sentire, il tono della sua voce era molto, troppo forte. Così, nel momento in cui aveva realizzato la causa, si era girata verso il palchetto posizionato una decina di metri dal suo tavolo. Si era voltata quasi di scatto, come a volersi mostrare infastidita da quella musica finto jazz, aveva rivolto una breve occhiata ai musicisti ed era tornata a chiacchierare con Martina che sedeva alla sua destra, poi, come se solo in quel momento la sua mente avesse recepito quello che i suoi occhi avevano visto qualche minuto prima: l'inconsueta immagine del cantante, un uomo non più giovanissimo, doveva aver passato i quaranta da pochi anni, i capelli leggermente brizzolati, un abbigliamento semplice ed un'aria da uomo 'concreto'. Claudia definiva così gli uomini che non rientravano nei canoni tradizionali della bellezza e della moda, che non recitavano ruoli, che riuscivano ad apparire 'speciali' solo per questo, perché osservandoli, sembrava di poter capire che persone fossero. Insomma, quelli che ti danno l'idea di avere un carattere, una personalità tanto forte da non dover ubbidire ad alcuna regola, nè mostrare di essere bravo ad infrangerla. La seconda volta era rimasta come ipnotizzata, incantata. Si era risvegliata solo nel momento in cui lui si era girato e l'aveva guardata. Si era sentita in leggero imbarazzo, come un'adolescente che si trova all'improvviso da sola in una stanza con il ragazzo di cui è innamorata. -Che vergogna! Alla mia età mi lascio affascinare dal cantante di una band di sfigati!- Claudia pensava che tutti si fossero accorti della sua distrazione, della sua breve fuga dalla realtà, ed era rimasta quasi delusa quando Martina, come se niente fosse, le aveva chiesto del lavoro e delle abituali beghe tra colleghi. Ma chi se ne fregava del lavoro e dei colleghi! Chi se ne fregava di tutto il resto! Claudia avrebbe voluto trovare un pretesto per parlare di quell'uomo meraviglioso che aveva difronte, avrebbe voluto che la sua amica le avesse facilitato il compito, che le avesse chiesto chi stava guardando e perché. Invece niente, Martina le aveva chiesto del lavoro e lei, nel modo più veloce e distratto le aveva risposto, aggiungendo alla fine: -magari facessi la cantante di lavoro!- Paolo le si era avvicinato per darle un bacio, prima di allontanarsi con Marco per uscire a fumare, Claudia aveva porto la guancia quasi infastidita e l'aveva guardato dirigersi verso l'uscita del locale. Poi, era tornata a guardare il cantante, questa volta sfidando la sua timidezza, aveva ricambiato con gli occhi quell'invito a restare soli nella stanza. Adesso erano lì entrambi, fuori dal tempo e dallo spazio degli altri, erano soli, liberi di guardarsi come e quanto volevano. Che stava accadendo? Che palpitazioni! Più si guardavano e più si sentivano vicini, il respiro di entrambi si faceva più corto, Claudia si sentiva accaldata ed eccitata e lui si era dovuto allontanare dal microfono per non scambiarlo per qualcos'altro. 'Ma che cazzo state facendo!' La voce di Martina tuonò come l'ingresso improvviso della mamma nella stanza degli adolescenti. Claudia quasi era saltata sulla sedia e aveva cominciato a balbettare nel tentativo di giustificarsi: 'ma-ma che c che cre-di?' 'Che credo? Credo che al posto della sigaretta stiano fumando qualche altra cosa!' Aveva risposto Martina alzandosi dalla sedia per raggiungere Paolo e Marco. Claudia aveva tirato un gran respiro di sollievo. Aveva già immaginato le parole di rimprovero della sua amica: 'state scopando con gli occhi!'- Queste erano le parole che temeva, ma anche in quell'occasione Martina l'aveva delusa. Rimasta sola al tavolo, Claudia ne aveva approfittato per andare a buttarsi un po' d'acqua in faccia e vedere allo specchio l'espressione che aveva. Nel corridoio stretto che portava al bagno, c'era anche lui, il cantante, si erano sfiorati, le loro mani si erano toccate per qualche istante ed i loro respiri si erano confusi, avevano potuto annusarsi, ancora una volta, anche se solo per 10 secondi, erano rimasti soli nella stanza e stavolta lui aveva anche parlato: -tu, tu non sei possibile- All'uscita dal bagno aveva trovato Martina ad aspettarla: -Andiamo via Cla', comincia ad entrare gente che non mi piace e poi sono molto stanca.- -OK, andiamo- aveva risposto prontamente Claudia. E tutto era finito lì. Nella testa per giorni le erano rimbombate quelle semplici parole 'tu sei impossibile'. Cosa poteva voler dire? Che era assurda la situazione, che era tutto troppo bello per essere vero, o addirittura poteva voler dire che lei era stata troppo aggressiva ... Chi lo sa! Intanto quella notte, dopo quasi un mese dall'incontro, lei aveva ripensato a lui e lo aveva desiderato come non mai. Il pomeriggio aveva chiamato Martina perché aveva deciso di dirle tutto, di sputare il rospo, magari dopo sarebbe stata meglio, avrebbe razionalizzato gli eventi e la sua vita avrebbe ripreso a scorrere tranquilla. Martina era arrivata al bar due minuti dopo di lei, aveva uno strano sorriso e subito l'aveva afferrata per un braccio per trascinarla al primo tavolino libero. -Devo dirti una cosa- -Dimmi- le aveva detto con tono d'incoraggiamento Claudia- -Ecco, ti ricordi l'altra sera in quel pub? Quel locale dove suonava quella band di sfigati?- -S sì- disse timorosa Claudia, -Il cantante, lo hai visto? No, probabilmente non ti sei manco accorta che c'era un cantante, non era poi così eccentrico ... Insomma, il cantante durante la serata mi ha guardata più volte e quando mi sono alzata per uscire e raggiungere Marco fuori lui mi ha messo in mano un biglietto con il suo nome ed il suo numero. Per fartela breve, Cesare ed io, insomma, il cantante ed io ci frequentiamo da tre settimane e questa passione cresce sempre più- -Ho capito- -Cosa hai capito? Non credere che lui sia uno senza cuore, da una botta e via, lui ci tiene a me, credo che sia del sentimento da parte di entrambi- -Certo, sicuro- aggiunse mestamente Claudia. -E tu, cosa volevi dirmi tu? Scusami, ero così ansiosa di parlare di questa cosa che non ti ho dato spazio, tu come stai?- -Ecco, ecco io sto come una che è uscita da una stanza per cedere il posto ad una più scema di lei- Martina l'ha guardata senza capire e Claudia è scoppiata in una grande risata, con gli occhi velati di lacrime.

lunedì 26 maggio 2014

103. TORNO A DORMIRE

Mi sveglio, ma non vorrei, non è questo il giorno che sognavo, no, non è questo. Mi sono addormentata presto ieri sera, dopo una bella giornata trascorsa con la mia famiglia nella Villa Floridiana, una giornata di allegria, di amore, che non aveva nulla a che vedere con quello che il grande Erri de Luca descrive come 'il giorno prima della felicità'. Avrei dovuto capirlo subito che a quel giorno non sarebbe seguito un giorno migliore. Avrei dovuto capirlo dai sorrisi delle mie bambine, dalle loro corse libere e coraggiose sui prati trascurati di questa amata/odiata Italia. Avrei dovuto capirlo dall'interesse che mostravano i miei colleghi venerdì per la busta paga "apparsa" in anticipo nella nostra intranet ... che tempismo! Non è questa l'Italia che vorrei, non era questo il risveglio che immaginavo. Verso l'una stanotte mi sono svegliata, dovevo vedere i primi risultati elettorali, fremevo dalla curiosità, speravo che l'Italia potesse far valere la sua parte migliore, quella che ha voglia di cambiare, che vuole giustizia, equità. Credevo che gli italiani avessero finalmente capito che non deve esistere un paese in cui vanno avanti i pregiudicati, in cui il lavoro è un privilegio, in cui un voto lo compri con 80 Euro.  Invece no, la conferma che gli italiani sono un popolo di imbroglioni, di beoti e di ingenui. Sì, è la triste realtà. Sicuramente anche tra gli elettori di Renzi, ci sono persone per bene, ma forse troppo ingenue, timorose del nuovo, che hanno davvero creduto che Grillo potesse essere il nuovo dittatore. Ma che tristezza, che squallore! Un popolo senza più cultura, senza dignità, senza morale, tutti possono fare tutto, possono metterlo a quel servizio a tutti, basta farlo con parole da "buonista" e basta rispettare pochi semplici regole: 
  • sorridere sempre e comunque, non mostrarsi mai arrabbiati e dire di essere ottimisti;
  • raccontare di tanto in tanto qualche barzelletta idiota;
  • promettere di eliminare un'imposta (vedi IMU) o elemosinare 80 Euro;
  • promettere che nulla cambierà, perché il nuovo fa paura!

Ero così arrabbiata stanotte che non riuscivo a prender sonno. In Italia ti devono ammazzare il figlio per provocare una reazione, che forse può essere messa a tacere con pochi Euro. Per il resto, nulla conta più. Sono delusa, amareggiata, ma adesso il dubbio è certezza: in Italia non va avanti nulla se non ha il consenso della mafia e del suo popolo vile e disonesto. 
Quasi quasi torno a dormire, provo ad entrare in quel torpore in cui molti miei connazionali vivono, storditi da mille specchietti per le allodole, dai pettegolezzi su quattro prostitute di alto bordo, sui finti drammi, dalla volgarità dilagante, dalla fama di notorietà, dalla convinzione che la "cultura" è prerogativa solo di una certa sinistra che per troppo tempo ha manipolato l'opinione pubblica, traendo una marea di guadagni. La stessa sinistra che vede Eugenio Scalfari ordinare di votare Renzi, Michele Serra (altro schiavo di partito) dichiarare che Renzi sia il meglio. La sinistra di Frate Fazio, della Bignardi che afferma che "nessuno dovrebbe andare in galera", e di tutti quelli che hanno un mega stipendio assicurato dal loro ruolo di intellettuali, detentori unici della cultura e fautori di una giustizia che non punisce nessuno. La sincerità non paga, paga la furbizia e la forma, sempre.