lunedì 25 luglio 2022

Racconti refrigeranti

Nei pomeriggi d'estate la vedevo passeggiare in bicicletta, con quel sorriso da suora: quelle labbra tese senza mostrare i denti, come se dischiuderle potesse lasciare trasparire la bellezza, l'effimero. Anche la postura era da suora, un po' rigida, per essere sobria e cauta, mai disinvolta. Elementi che, come ogni eccesso di pudore, lasciavano trasparire una leggera malizia e la rendevano intrigante.

Bruno invece lo incontravo spesso la sera, dopo cena, nelle passeggiate lungo il porto, teneva al guinzaglio il suo Augusto, un Labrador dal pelo chiaro e il passo pigro. Ogni volta che li vedevo non potevo fare a meno di osservare la somiglianza tra loro. No, l'umano di capelli non ne mostrava, portava sempre un berretto, ma lo sguardo buono e il passo pigro erano gli stessi.

Rosa portava i suoi capelli neri raccolti in una lunga coda di cavallo, in modo da rendere ben visibile il viso pulito, dai lineamenti decisi, sinceri. Anche la sua bici era semplice ed essenziale, di quelle tradizionali, un po' passate di moda, come poteva sembrare lei, del resto. Verso le sei di sera entrava nel bar del porto, dopo aver appoggiato la bici all'ingresso, ordinava un caffè ed un dolcetto alla cannella e andava a sedersi sul muretto di fronte. Prendeva appunti, parlava al telefono, scattava foto al cielo, a volte sembrava registrare la sua voce, e osservava i passanti con fare curioso.
Dopo circa un'ora, tornava in sella e andava via.

Bruno arrivava al bar verso le nove, dopo il tramonto, ordinava un caffè e due dolcetti alla cannella, uno per sé e l'altro per Augusto, consumava velocemente al bancone e andava via verso il porto per la passeggiata serale, che interrompeva ogni tanto solo per alzare la testa e fermarsi a contemplare il cielo.

Erano due clienti tra tanti, con i loro riti e le loro manie, ma c'era di magico che le loro coincidevano; oltre la consumazione, avevano in comune la mania di muovere le dita sul bancone come pianisti a cui hanno sottratto i tasti e prima di allontanarsi, alzavano il braccio per salutare, senza parlare.
Per mesi li avevo osservati e non avevo fatto altro che desiderare che si incontrassero, che uno dei due cambiasse l'ora del suo ingresso al bar, che si rompesse una ruota della bici, mi sembravano perfetti l'uno per l'altra, così simili, così solitari.
Poi l'altra mattina ho visto Rosa passare velocemente con la sua bici, inseguita da una macchia di pelo chiara, ed ho pensato che fosse l'ennesimo punto in comune: entrambi avevano un cane per amico. Mentre li guardavo allontanarsi ho sentito un profumo di cannella ed ho rivisto le dita ballerine sul bancone, la coda di cavallo così perfetta da sembrare finta, o capace di entrare in un berretto, il braccio che saluta, gli occhi buoni.
Per mesi avevo sperato in un loro incontro, perché sapevo che se si fossero incontrati non si sarebbero più separati, ma non potevo immaginare che già fossero inseparabili, poiché altro non erano che la stessa persona.

(Continua...)





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